domenica, luglio 14

Un popolo che non parla,
non vuol parlare, parla poco, che riduce all'essenziale ogni scambio fonetico, ma quel che dice, quel poco, lo urla.
Un contrasto che mette in crisi le capacita' percettive e che rimanda dritto all'ultimo rigo: Strani uomini, strana terra.
Se l'approdo è corretto, manca il movente, e l'arcano è irrisolto. L'obbiettivo è la comunicazione, sferzante e potente
come una lama, il mezzo non è la parola, pesante, definita e quindi volgare, ma tutto, pur di evitarla. Allora sale il
volume, la voce cambia tono, e si compone di sapienti pause. Per una sorte di trasposizione delle cose parole e
suono diventano punteggiatura di un discorso piu' ampio, fatto di cenni, mimica e gestualita', dove l'esempio piu' alto
di sintesi e' l'atteggiamento composto da mille sfumature in pieno equilibrio. Riuscire nel contempo a ridurre al minimo
ogni palese umore, e a colpire il bersaglio, rasenta la perfezione, il massimo, materializzato nella totale ricettivita'
dell'interlocutore, il momento in cui, chiuso il cerchio, il "potere" è manifesto, e, principalmente, riconosciuto. In Sicilia
si parla poco, perche' la parola e' un macigno che ti si puo' riversare addosso schiacciandoti. In Sicilia si urla per
confondere chi poco parla. In Sicilia non si parla, ma si urla, e quando poco si parla poco si dice a parole,
ma si sottintende, e quando si urla si simula ma poco si pensa.