domenica, agosto 11

Tre finestre scorrono lente sul pendio della dorsale, l'una d'un davanzale lieve e scosceso, poggia lo sguardo appena assente su quelle torbide tegole d'un dismesso edificio.
Il secondo scorcio, centrale ai due, é il continuo mediare delle cose. Certi lapilli, che le tenui tinte sgretolano, si muovono tra due campi divelti. L'occhio vi risiede, e da poco capii perché, ma la memoria, vanto di beffe, complice sottace.
A sinistra dei due, raggomitolato tra pochi sguardi, c'é la sintesi del bello a graffiti. Non i pastelli e i glissati d'ombra svavillano, ne i quadri, mesti d'inganno, rivelano clicché. Un antenna, irta, spinosa e stridente é l'urlo dell'agognata imperfezione umana. Ecco, c'é l'uomo; ma questo é niente perché sovente si spande; sono i nugoli e i bit che anelano ancora vecchie danze del ventre.
Per ore ho scorto, non che voglia n'avea, e bige quelle grame storture sono state il conneso dismesso. Tre grigi acqarelli, vetrini filtranti, mi hanno adagiato l'angolo più vero, il sentimento che stilla pur pallido e celato. Ah il futuro, se non resto d'avanzo.