Il resto di niente.
Certe strade sono una mostra di simboli in bella vista, schiere di icone mal riposte e sonnecchianti. Ma se accenno un commento con gli infrequenti compagni di passeggiata, vengo osservato come l’ultimo relitto di uno strano veliero-fantasma ottocentesco.
Eppure l’evidenza e lì, non richiede strani strumenti e uomini in calzoni corti e dorso nudo, con strani attrezzi al seguito per rilevamenti terrestri.
Un tempo, le discrepanze con la norma erano un cruccio, mi nascondevo dietro risposte azzardate e buoni gelati. Già buoni…perché erano tanti. Ho imparato a passeggiare lentamente e da solo, ad assopire il pensiero, prima ancora che la cadenza, e a boccheggiare sorsi d’aria per riespellerli in strani fischi. Libertà insomma, di pensiero, perché il giudizio l’ho postdatato come certi assegni incerti all’incasso.
Palermo ne espone di stranezze; angoli, accenni di vicoli, campetti brulli o porticati abbattuti. Metafore di altro e di altrove.
Così mi sono concesso uno spettacolo unico, irripetibile. Di fronte al mare, dove la Cala s’attarda in favore del porto, il palazzo di marmo si staglia imbellettato in tutta la sua altezza. Tonnellate a migliaia di cemento, mattone su mattone, ferro, infissi; tutto, tranne il rivestimento.
Le lastre di marmo sono volate via una alla volta, o più d’una in ordine scomposto. L’iniziale apprensione di astanti e avventori, ha lasciato presto spazio allo stupore, per sfociare in incredulità, prima, e poi in rassegnazione. Voleva essere vessillo d’una città forte, capoluogo – o capitale, come fieramente si mormora – ma all’inconsapevole vocazione dei natali, presto ha lasciato spazio alla decadenza. Le alte pareti, che ancora cingono l’edificio, sono simbolo di spavalderie protette, da confinare entro mura impenetrabili, come parchi e zoo dell’inconsulto.
Erano gli anni settanta, ed il sacco era stato mirabilmente confezionato. Nucleo urbani, quartieri, prospetti liberty, arte e mercati, tutta un’unica purea abilmente imbastita per la speculazione edilizia.
Palazzoni stile Manhattan, cementificazione, distruzione di spazi ancora verdi, imperversavano.
Quantità, opulenza, cantieri, rumoreggi, innalzarono tempi stagliati e brillanti; privi di vita in partenza, funzionali al soldo ripulito e mai utili all’uomo.
Tanto, tanto; tanto.
Resti già in partenza per l’inutilità e lo scempio, immagini del niente d’un panorama ancora da rifare.
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