L’asfalto sfila sotto i polpastrelli; ruotata la mano, sembrano unti color del petrolio. Rattoppi senza forma, geometrie casuali, dislivelli, gomiti di infiniti lavori in corso per le strade. Ad ogni svolta, le gomme bramano il suolo e stridono. L’auto s’inerpica; in lontananza, dove i muretti a secco si congiungono nell’apice del biancore, l’aria ascende intingendo pozze d’acqua.
Lei ruota lo sguardo verso destra, e vede continuamente scorrere ciò che qualcuno ha scritto, che ha inserito consapevolmente in quella coreografia. Gli occhi inclinati verso il basso la tradiscono, una ineludibile diffidenza emerge dalla ricerca di riferimenti bassi, dal suolo. E’ dal sotto che sgorgano i peggiori presagi, le paure recondite; è la chiusura del finito, l’impossibilità di sfuggire, che accende il panico. L’aria, scura per quanto sia, è invece una via di fuga, ‘’l’altro’’ posto verso cui dirigere un respiro, e fuggire.
Tanti perché in fremiti composti, inghiottiti tra la curiosità d’un lieve pallore e un accenno di voce subito sopito. C’è qualcosa oltre quel finestrino, e continua a ripeterselo; facce buie, al di là del sole che li ha scurite. Passi illogici di cadenze sommesse, sorrisi e mosse sperse, improduttive anche alla comunicazione. Così gli appare ciò che vive attorno alla pietra, scolpita dalla calura prima che dallo scalpello, per far case, cortili o per nascondere segreti.
Appunta minuziosamente tutto nella mente; vuol capire, deve raccontarlo, ritornata o destata dal viaggio, dovrà riferire di quello strano Sud. Dove l’assurdo è solo tale, intesse trame, e ricostruisce balli su vecchie casate linde da vesti larghe e busti d’uomini con parrucche e accento.
Si ferma sempre un attimo prima di soffrire, prima che lo sguardo casuale dietro un fazzoletto alla testa diventi un’autentica rivelazione.
Lei osserva, ma trascrive nella mente: ''Tu terra, tu l’inganno, tu su di me e ti guardo e vieni''.
E’ una goccia di sudore che aspra stilla dalla fronte questa Sicilia. Acqua che salata brucia verso un solco sulla pelle. Opaco, si estingue in macchie collose. Movenze da non risciacquare con l’acqua fresca della fronte che lesta volgerebbe verso altre tempere.
Porta il saio; poi, solo poi, adagia la punta della biro su qualunque carta, e prova.
Lei ruota lo sguardo verso destra, e vede continuamente scorrere ciò che qualcuno ha scritto, che ha inserito consapevolmente in quella coreografia. Gli occhi inclinati verso il basso la tradiscono, una ineludibile diffidenza emerge dalla ricerca di riferimenti bassi, dal suolo. E’ dal sotto che sgorgano i peggiori presagi, le paure recondite; è la chiusura del finito, l’impossibilità di sfuggire, che accende il panico. L’aria, scura per quanto sia, è invece una via di fuga, ‘’l’altro’’ posto verso cui dirigere un respiro, e fuggire.
Tanti perché in fremiti composti, inghiottiti tra la curiosità d’un lieve pallore e un accenno di voce subito sopito. C’è qualcosa oltre quel finestrino, e continua a ripeterselo; facce buie, al di là del sole che li ha scurite. Passi illogici di cadenze sommesse, sorrisi e mosse sperse, improduttive anche alla comunicazione. Così gli appare ciò che vive attorno alla pietra, scolpita dalla calura prima che dallo scalpello, per far case, cortili o per nascondere segreti.
Appunta minuziosamente tutto nella mente; vuol capire, deve raccontarlo, ritornata o destata dal viaggio, dovrà riferire di quello strano Sud. Dove l’assurdo è solo tale, intesse trame, e ricostruisce balli su vecchie casate linde da vesti larghe e busti d’uomini con parrucche e accento.
Si ferma sempre un attimo prima di soffrire, prima che lo sguardo casuale dietro un fazzoletto alla testa diventi un’autentica rivelazione.
Lei osserva, ma trascrive nella mente: ''Tu terra, tu l’inganno, tu su di me e ti guardo e vieni''.
E’ una goccia di sudore che aspra stilla dalla fronte questa Sicilia. Acqua che salata brucia verso un solco sulla pelle. Opaco, si estingue in macchie collose. Movenze da non risciacquare con l’acqua fresca della fronte che lesta volgerebbe verso altre tempere.
Porta il saio; poi, solo poi, adagia la punta della biro su qualunque carta, e prova.
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