martedì, ottobre 15

Perdonatemi, ma ne sono convinto, meglio parlare quando si ha qualcosa da dire, quando non si scade nell’ovvio, nello scontato quindi banale. Non ditemi “passerà”, “abbi pazienza”, “sii forte”, “non abbatterti”, “hai delle responsabilità” e poi una schiera di “abbi”, “devi”, “puoi”. Non ditelo, non dite mai questa schiera di scontati anatemi, perché ad ognuno di essi vi dirò “e allora?” e vi garantisco che non c’è risposta che tenga, che abbia mai tenuto. Si, so tutto, capisco, le ho viste, capite, sentite, ma cosa credete che quelle formulette magiche non le conosciamo tutti? Dovrei forse fare un sospiro ed essere contento, come dopo aver preso la pillola per il mal di testa?
Sono, già, il più grande viaggiatore perché sogno, vago ed evado e perché vedo limpida la realtà, pur dura e sferzante quanto può essere. L’avverso, l’inevitabile ed il fato sono il propellente con cui mi muovo irrequieto. Cosa me ne faccio di un contentino. I torpori anestetici della mente, se volete, forniteli agli altri, io non so cosa farmene perché il torpore dell’indefinito è già la mia linfa dell’assoluto, proprio perché sono avviluppato a doppio filo all’impeto vorticoso del reale. Se incrociamo i passi, se ci attraversiamo, già vi vedo e questo vuol dire che non mi assopisco, perché per non sentire dolore mi assopirei. Ci sono, ci voglio essere sino alla fine, qualunque sia, e chiunque me la dia, poi vagherò, vedrete, e nessuno mai potrà fermare il mio sfinito volo eterno tra le cose e mai sopra esse. Sono avverso alle formule, alle ricette, ai filtri, perché non devo operare nessun calcolo per alcuna soluzione. Vivo tra i simboli che mi appagano e riflettono e c’è poco da cambiare, si può solo osservare, qui o là o tra loro.