domenica, settembre 19

In file disordinate per la vie ed i vicoli che lambiscono il mare, spalmati dagli sguardi del sole come pomodori rossi promessi alle conserve. Al passo del leopardo l’arsura fresca si muove al guado, scivola e rimesta quiete e vocii sorprendendo tavolini adorni di granite liquefatte.
Qualcuno cerca una vecchia panchina; i listelli di ferro pur sporchi danno stabilità, il freddo contatto con la pelle invece da sollievo e speranza per quel quotidiano di sfoglie di carta che rotola tra folate di vento a spifferi e grame notizie. Poco più in la qualcuno sottace e lentamente sparisce, oltre pareti sgretole e tinte giallo-improbabili. Gente a fiumi verso il mare, che tira il primo freno a mano della stagione, mascherata dietro occhiali scuri di vetro e plastiche tinte dell’estro maldestro dell’appagamento a prezzo delle ansie.
Spiagge sotto casa, troppo distanti, rosicchiate dall’avanzare di zoccoli, confinate fuori d’ogni ombrellone sotto il quale vige l’inconsapevole ombra dell’assenza. Ventri in dentro, olii e cocco sparsi dalla battigia alle scarne conchiglie stanche dalla bancarella d’una vita. Parole della sera in discorsi disattesi e puntuali, bagni di luce tra etichette e creme di quel sole che lievemente svanisce incredulo. Verso qui, o lì; è un tutt’uno, atmosfere dense di sospiri e conteggi spalla contro spalla.
Frenesia, ansia da prestazione, fretta; sgomitolare di concetti pallidi in intrecci privi di tatto.
Non c’è festa, non c’è vacanza, s’intravedono rigurgiti di strade e mezzi folli alla rincorsa.