domenica, ottobre 3

Eventi scivolano, e non si intravedono le origini. Vite si intrecciano e non conosciamo il fine, e se ce ne sia uno. Canali scomposti di acque in piena attraversano le nostre sensazioni, e non ridonano sollievo ma avvampano la mente solleticando l’anima. Siamo attori di una assurda commedia, la stessa che mi vede interprete riconosciuto di una estrema razionalità. Mi sorprendo a volte, porgo sillabe e parole ad avventori sconosciuti, ad esplorare sorrisi caduchi e batter di palpebre finte. Sbircio il mio viso dall’alto, alienato dal mio corpo; e da dentro mi osservo alzando ipoteticamente il mento. Me contro me stesso, e al centro gli altri; di cui oramai conosco ipocrisie e testualità prive di senso. Vivo la mia vita, quindi, comandando le membra dentro pareti e scrivanie di uffici bianchi di luci al neon prive di colore. E voglio sopravvivere, e cerco una strada per non soccombere, mi agito, mi risveglio dal sonno, e voglio ripiombare nel sogno. Grande sito il sogno; entro alla notte, e di giorno, con una lacrima acida nelle pareti del viso e con un sorriso da rivolgere a qualcuno in attesa. Il Fato e il Destino, poi, dadi caduchi da cui trarre idee. Una volte calava il timore del cielo e di un dito spiovente, ora no, non più. Libero d’ogni male e dal recinto con cui pingiamo l’essenza. Se anche esistesse un disegno superiore, e io fatuo uomo mortale non ne fossi a conoscenza, l’avrei già sconfitto per il solo volere avverso. Irridente, con le mani al cielo, tra i vicoli, all’epico scontro potrei soccombere, e da uomo lo farò, ma a sguardo basso e sottomesso.