martedì, giugno 28

D’acciaio i banchi dell’agitato far mascolino, in mostre di camici candidi rimboccate nelle maniche e cinte ai fianchi. Arpeggi straniti di dita tra bicchieri in trasparenze di cristallo colato, lenitori d’arsure gocciolanti di liquidi refrigerati in iride di colori. Pasteggi di scarne parole, scandite tra crini di capelli pomatati nell’ammiccare di sorrisi assestati ai pellegrini. Tra granite, grattatine, frizzanti misto menta e amarene; e ancora, spume altere d’autista, limonate spremute d’acqua trasudate nei sbordi dei bicchieri; e creme di gelati di fichi, gelsi e angurie.

Tempi questi bar del Sud, dello sciorinio di rubinetti a spandere sulle balaustre pallide; danze di mani che muovono tazzine e spugne da spremere, per bagnare contorni a ridonare sensazioni e respiri.
Miracoli quotidiani in sapienze comunicative gestuali, in mescite pinte e sonorità. Il tastare ch’aggrada, e il bere dal sapore degli Dei; chiesta, fatidica, l’acqua, il barista fiero e imbelle pronuncia il gomito e fiero versa dalla vitrea bottiglia ciondoli sul bicchiere. Perché nel Sud l’acqua, bene assoluto e prezioso, non si paga. Unico e trasparente, per cui non si vende; s’offre con spasmi di sorriso. Cliente propizio; ospitato con l’acqua, bevi nei rimandi storditi di scirocco.

Questi teatri immutabili, nicchie equo e solidali da infinità d’anni, stanno per finire. Un decreto reggio li colpisce; i Don Giovanni in camice bianco, mai più potranno versare un sol bicchiere. Schiere di monodose targate multinazionale, in obbrobri in PVC stanno per arrivare; bar-man sfitti s’allungheranno per adagiare corbelli di plastica con tappi da ruotare.