martedì, maggio 17

Non ho vite in prospettiva, che siano oltre questa oppure future. Non ho alambicchi in cui confinare atteggiamenti e movenze pittoresche, lasciando poi l’immagine visibile e pubblica al chiarore degli sguardi. Il presente è uno ed inequivocabile, ed il gerundio è l’atteggiamento che perseguo nelle propensioni. Non ho un virtuale in cui mascherarmi, considerato che non ne esiste uno se non nei collocamenti della vita ‘’reale’’. Non basta pensare oltre per dirsi altrove. Sono ombra per condizione, prima che per mascheramento; impronta e sinonimo di una metafora. Non separo niente, nemmeno i pensieri e i fatti più fittizi ed onirici da me stesso. Mi segue la scia di tutto quello che è stato, strisciando per la pesantezza. Sento con il librare dei legami le corrispondenze in ridiscendere. Le aberrazioni dell’osservare sono il tratto del dì quando espongo l’effige fisica al vociare indifferente, quell’imperativo che pretende dialogo. Non scorgo completezza in niente ed in alcun modo, tanto meno dal sostare accanto all’altrui corpo. Non sfoggio supponenze del carpire quando gli occhi catturano le misure dei passi, sganciando i colori fisiognomici dai pregiudizi. Per cui il mio blog è vita, quanto lo è il mio tempo; con le stesse limitazioni e illusioni. Per l’assenza dei sensi amplifico le sensazioni; consapevole dell’assoluta fallibilità del giorno, che - Padre - mi generò. In nessun tempo, ed in alcun modo, ho accettato di me niente; futile e ignaro, mi assolvo ed elevo, riscoprendomi umano. Mi osservo e vario gli angoli a questi occhi, poi ruoto senza scorgere niente che permane e che m’aggrada. Quegli angoli storpi drenano fumosità permeanti; lì dove imprecisa qualcosa accade rovesciando nell’attendere speranze ed inclinazioni.