mercoledì, aprile 27

Quel che vorrei scrivere è che oggi sfugge. E’ che c’è una finestra e ci siamo distratti, il mondo andava e non ce ne siamo accorti. Eravamo noi tende ai lati, simmetrici, con un filo al fronte e qualcuno l’ha tirato e ci ha socchiusi. Fitte trame opache ora c’impigliano e siamo rimasti nello sguardo, l’uno nell’altro, o nell’altra vorrei dire, ma ingoio il gorgo. Non c’è del vero, ne’ fascino, solo cronache esauste e lapidarie di fronde di vita. Mossi per le scale e le piazze circumnavighiamo palazzi privi di cortile interni e sprazzi di luce. Che qualcuno ci segua, no, non oso crederlo; immaginate, però, uno sguardo tenue che ci si adagi sopra. Un brivido d’attenzione, è quello che aspettiamo, e ci disperdiamo tra mille storie d’auto confuse ai lati d’un posto sempre troppo scarno. Un’aria lieve mossa da mani volte a cingerci, è questo che aspettiamo, noi, e che non osiamo chiedere. Scosse d’occhi che ci osservano, questo sogniamo, nel quotidiano di pensieri rivolti oltre il cielo. In fila per uno, tutti, chinato il capo a inumidire punte di scarpe insabbiate, sorbiamo estatici l’indifferenza dell’altro, sulla sua di punta e sulla spalla innanzi che è il punto d’ogni periodo che siamo. Per questo divago, perché mi stanno storte le righe scarne, e le parole confondono oltre tendaggi di spalle bianche di camicie e colletti. Ho bisogno, informe, di spandere, tanto inerme alcuno coglierà mai un lamento gerbido sfondo d’ogni davanzale. Il fremito si può solo cogliere, e aspettare, e resistere, avvertendo, sentendo; fruitori d’energia ci crediamo ignobili divinità, ma il fiato del flauto è il solo vento d’immortalità che ci è dato cogliere. Il resto è lieve ansia; che aspetto, perché in ciò sono uomo, che è il solo vessillo d’agitare.