Quei volti ondulati attorno a tre auto; tesi d’ansie e di lame di sguardi dall’alto. Sudori scivolati ad attorniare rughe come saltelli di cascate. Movenze di mani negli scroscii delle nocchie, a comandare sibili di sguardi offesi. Acredini di sirene, tinte sulle vetrine infrante di sogni cupi dei piccoli nel vociare mesto della melanconia dei viali. Ferri di fuoco macchiati nell’intimo delle mescole degli umori acidi della pelle, plagiati nelle forme artefatte da storture di tensioni. Gomme stese sull’asfalto nero d’ebano e di rintocchi del cupo, nel volgere della notte. Sillabe sorseggiate attraverso i giallori dei vetri, in sigarette incenerite da ricordi di corpi straziati. Nel dondolare delle strade l’estinguere di pranzi mal consumati in piedi, in guardia di sedie vuote e tavoli sguarniti al senso. Nel soffermarsi, l’impeto del velo di memoria; all’arrivo, l’immagine di fini distinte nel pigiare di pulsanti e il lampeggiare di fuochi; poi assenze.
Con la barba saracena, scolpita nella plastica del viso immobile e nel corpo abbondante a sorreggere un fardello. Esplosione incurante nella mente, di rose avvezze all’impazzata nell’ogni dove del saldo d’interessi. Così nel riveder d’ogni giorno, sino all’ultimo rintocco di chiusura; via con l’auto che sgomma di sguardi ignari a fendere.
Passando ogni dì, a distanza, oltre la banchina, il pietrisco e le mura, s’osservava inetti leggendo strilli di giornale e provando rigetto. Così, passati gli anni, m’incespico matto memore nei rivoli rossi di sangue; in quella mano a sostenere la canna, nell’affanno di chi teme l’inganno.
Lui che chiude la portiera di gran botto, gridando nell’urlo sopito della mente ‘’m’hai ucciso, o gran popolo sovrano’’.
Con la barba saracena, scolpita nella plastica del viso immobile e nel corpo abbondante a sorreggere un fardello. Esplosione incurante nella mente, di rose avvezze all’impazzata nell’ogni dove del saldo d’interessi. Così nel riveder d’ogni giorno, sino all’ultimo rintocco di chiusura; via con l’auto che sgomma di sguardi ignari a fendere.
Passando ogni dì, a distanza, oltre la banchina, il pietrisco e le mura, s’osservava inetti leggendo strilli di giornale e provando rigetto. Così, passati gli anni, m’incespico matto memore nei rivoli rossi di sangue; in quella mano a sostenere la canna, nell’affanno di chi teme l’inganno.
Lui che chiude la portiera di gran botto, gridando nell’urlo sopito della mente ‘’m’hai ucciso, o gran popolo sovrano’’.
0 Comments:
Posta un commento
<< Home