martedì, febbraio 22

Partenze di storie infinite, scali, approdi, mercanzie e chissà quali nodi da risanare nelle reti. Nelle vele riprodotte in scala, i segni inistenti tracciano i sudori e i rugori delle mani per le sciabolate di vento. Le funi pensule nello sciabordio verso lo scalmo di legno temprato da spume e sole, attendono, mitigate dalla salsedine, braccia e grida. Nel cesello della chiglia, i fondali riemergono nell'ansie inghiottite di oscurità d'ombre. Nodi, a tendere dialetti d'ogni ricordo, tra sartie dal maestro a prora, e dai minori a sperder ovunque. Tempeste, pittate nello sguardo e riverse entro argini di cornici in faggio. Bastimenti collassati in fauci d'oceano; ritornati nelle derive della memoria; fastosi componimenti di mani.
In quei cantieri minimi, tra gli olii e i pennelli intinti e rappresi, scorsi i primi crepitti dell'uomo vagante. Mai pago della postura severa, e dell'incurvare un tratto labile di gote, nel sogno desto risuoleva navigare in viaggi sfiniti. Pochi attimi nell'inquieto far di nostromo, alcun cenno e varriante, all'apparire d'un passo irruente. Incurante; una mano sul mio bigio cocuzzo di silenzi, e si svaniva lesti. Viaggi assieme, solitari tra ricerche disarticolate di parole scarne e collimanti. Terre impossibili, oltre l'ultimo degli oceani, con bombette tra le mani, e minuterie astruse nella goffagine delle tasche tra le dita. Ricerche di simiglianze tra gli umani, corrispondenze di inclinazioni d'ardito sentire. Giorni, e anni, sacrificati all'inno di carezze inpronunciate. Traversamenti perpetui; traversie sovrumane in traccie di sguardi ignari e felici. Nella mano d'abbandono; protetto fortilizio; s'aprivano visioni e intagli di pitture pungenti. Il mugulare di gente, risegnava l'approdo, fra bottini di visibilio e lembi sconosciuti. Uno sguardo v'è naufrago, e il braccio del soffrire d'amore, per un filo dalle acque mai scisso.