lunedì, febbraio 28

Passi deboli puntati nelle frange delle sabbie, negli intrighi di galleggianti bruniti d’acque e sole. Poche rive di là delle fasce secche, solleticate appena a lambire da risacche frivole e ballerine. Giusto dietro i primi sciabordare di onde, oltre l’ala protetta dall’occhio della torre e dal braccio concavo del porto, lì l’isola s’intrufola a memoria e ricordi. Di mani cingo le ginocchia; abbasso il viso, ed ecco l’approdo di navigli furfanti. Incastri di battelli mitigati dalle arsure e dalle vane speranze. Ricettacolo di cannocchiali slanciati dall’orizzonte; scogli bianchi, brulli di piante secche, e lussureggianti di tesori nascosti, visibili alle bramosie. Pregna terra impazzita, slanciata al cielo da brume di fondali indagatori. Inno sibillino; periscopio d’un Dio bizzarro, attendista e sbirciatore dagli abissi. Culla d’amanti, esilio d’assassini e di briganti; rifugio di figuranti estatici dei primi archi di cielo. O solo terra disadorna e grama, dove l’orco scherno d’umano s’adagia al tempo d’osservare le storture ignare. Luce circolare, nel monito d’ancheggiare e cingere d’allarmi il Fato, sano del germe e dell’umano. Fragore lontano; l’alta marea schiude le bizzarrie di questo mediterraneo. Frastagliato scoglio d’ogni destino. Ti cerco; puntino plasmato d’un sogno lambito.