domenica, aprile 10

Quando, socchiuso l’uscio di listelli di querce, s’innesca il sipario di scuri freddi, avverto gelide le pareti inclinate nell’epilogo d’osservare i tremori. Piego le dita sui palmi richiamando all’ordine la materia umana, aggrottando ciglia e cornici per spandere dileggi in incroci petrolio di sguardi profondi, in pennellare di rimandi d’assenza. Io sento i passi; accodo la mente in un sospiro interinato e immagino ciò che la vista non rifugge. Calata la quiete che non è dei fruscii echeggianti e tenebrosi, non cerco mete, ma avanzo nel fare illineare di chi non cerca perch’è stato trovato. Penso che non ho nulla e che da sempre mi muovo in quest’indefinito luogo remoto, di voci dentro e d’attese. Scendono dall’alto sussurri; interpreto, distante razionale abitante della schiera e osservatore delle movenze. Lungo le bordure di terricci ombrati ci sono già stato; non mi perdo a ripercorrere cieco un calle già abitato dall’avanzare dei tacchi mezzi sfaldi. Ti cerco cielo sfumato dalla pelle di velluto e dall’effige di Caino; nei pensieri ritengo le tinte cangianti e ove non t’ignoro ti coloro di pasticci con le mani. E quante lame che, trafitte le sporgenze in davanzale, piego in puntini di luci stellari. Quante cupe gioie vestite d’effimero, spante in varianze di cielo adorno di nembi; così a variegare d’imperfetto limpido l’Eterno. Solo; in cui risento tutti, negli effluvi di corrispondenze d’acque oblique, ribattere in ogni lembo di pelle. Mi sporgo, poi vario e ricambio; con questi pastelli posso tutto. Poi risento i fragori, e riapro alla luce; qui incomincia la partita di spettri occulti e fandonie da adombrare di menzogne. Quelle che la notte fomenta, e che il giorno infonde.

1 Comments:

Anonymous Anonimo said...

...!!!...

5:52 PM  

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