sabato, aprile 30

Incuto timore, alcuno, mai, si avvicinerebbe. Alti i bastioni, le torri e i contraltari, imponenti mura e fondamenta, sulla colina sono io quella centrale nucleare. Invincibile, come la natura e la vita mi hanno forgiato, tutti si perdono ai lati dell’ombra che appena traspare. Mitico come certi castelli che svaniscono ad ogni volgere d’orizzonte, mi sbriciolo ai primi venti di ponente che risucchiano l’acqua a quella rena che è la mai malta inconsistente. Così appaio e mi staglio, m’inerpico e incespico, respingo ai più attacco e movente. Fragili, noi duri, tenui, noi introversi.Tu un giorno mi creasti immortale, e sono qua, Tu che hai fortificato la mia muraglia, blindandomi e proteggendomi da certi lascivi pensieri, Tu che mi osservi rapita tra delusione e sconforto. Io precipito e non dissimulo, io rilascio il fiato per sorbire nuova aria, io sbagliato perché sempre diverso da me stesso. Io non ho trovato parole, e Tu mi hai contestato il silenzio. Così è passato il tempo, e, assopito dentro, ho osservato e sentito. C’era poco da dire, e Tu lo sai, Tu hai puntato l’indice contro il lamento, e io ci ho creduto e ho taciuto. In fondo è qui l’errore, non conosco misure e sono nero quanto bianco, senza scale e gradazioni, per cui santo nell’effige, ed eroe, quanto fango ed impostore.Ci sono cose che non si possono dire, o che non mi hai insegnato a fare, il che equivale. Ci sono cose che si possono solo scrivere, e ci vuole coraggio perch’è facile smarrire i bardotti. Mi muovo e m’adagio, e riscopro il mio volto umano, per nulla mitico e invincibile, ma lucido e in fondo ingenuo. Così sto male, e ti devo molto per questo, perché è alto il dono che ho ricevuto: sensibile all’aria e alle intemperie d’una pioggia che cola e flette ogni fronda. Oggi l’ho detto, e ho un peso in meno dei mille e più che ancora attendo.