domenica, giugno 5

Trascinato dal tuo passo, ti ho visto per quelle bande bianche. Nulla segnava la movenza, eppure non dissertavo d’altro nell’attesa dell’evento. L’avanzare lieve fra le onde di rumorii inesistenti, soffermava le carte casuali del solito disordine. C’eri; il culmine nell’attraversamento segnava l’appuntamento mai chiesto né ricevuto.
L’estraneo non pensa né t’osserva, non esiste finché non appare. Non ancheggiano gli altri; esistono in circolo nel panorama somma di segni lungo la via.
Quando nel punto è apparso il tuo monte canuto, c’erano dei flutti a ridiscendere per i sopori del collo. In quella lentezza procedevi nell'alterco con lo scorrere del tempo; dragamine nei fremori delle ansie ricevute in sorte dall’esile pensiero. Giorni persi nel bagliore della fronte, e quelli sfaldi in decremento tra le grinze verdi della camicia e le rugosità sfibrate delle dita. T’ho seguito in tutta la linea, retta nei raccordi e nelle somme, fino alla sosta di quella che t’apparve la salvezza. Immerso verseggiavi nella mente, e dicesti fuoco con verbosità incline al passo. Anche oltre, nel disegno preciso delle tinte unite, separate a metà busto dalla linea nera di confine, perseguivi il tuo fine. Senza voluttà di comunicarlo, né d’intonarne alcun senso. Preciso e metodico, m’hai imposto la tua visione che risiede nel fondaco dei miei umori. E non pensi all’abbaglio della mente, non ti fermi nei sussurri che avverto come urli scomposti e laceranti. Perché ti muovi, e lo sento, con l’ineluttabilità del caso incombente.
Rifugiato, sarai assopito nei sogni, intenti del domani. Io desto e insonne, per un attraversamento allucinato e per l’eleganza dei tuoi arti piegati dall’arte del tempo. Qui, con la memoria satura di dileggi incanalati in improbabili file indiane. In questi lapilli che segnano la mente forgiando canali irreversibili. Qui, a sfidare il Caso; improbabile Cavaliere con l’arma affilata del sentore che voltato il periodo mi si ritorce contro. Nella gabbia di spranghe verticali e spioventi, in cui limo le fessure; allontanando gli sguardi; assopendo i segnali sonori, che incuranti aculei m’affliggono.

3 Comments:

Anonymous Anonimo said...

l'ombra corta di un'alba romana, il freddo pungente che si insedia nel corpo fragile e indifeso. Vivo, o sopravvivo, e urlo al vento la mia rabbia

7:25 AM  
Anonymous Anonimo said...

Sembra una rappresentazione scenica di "Io e Lui " (Moravia)

Orf

11:43 AM  
Anonymous Anonimo said...

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12:03 PM  

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