lunedì, luglio 18

Le parole hanno vita e sostanza; devono drenare, in quell’istante sensazioni e vaghi concetti assumono forma visibile. Questo il credo che svela l’immobilità semiotica dei miei pensieri. Simboli, grafismi, visioni, sensazioni, unità capaci di imbrigliare la mente, ponendo il corpo in attesa. L’impossibilità di fermare una corrente per trarre a riva un segno. L’abbandonarsi contro l’opporsi; plasmare le prospettive nel lento logorio della ragione che ammette solo codici immediati. Un grande fratello della mente; sonnecchiamo, parliamo, comunichiamo. Cosa?
Tutto è al di là e non ne siamo artefici; spettatori impotenti chiamati ad arginare il declivio di incessanti emergenze.

A zonzo; Palermo l’ho immaginata negli ultimi mesi, la conosco bene e per ogni tratto devo far ricorso solo alla memoria. Ma in quei passi c’ero già; un viaggio terminato, degli incontri, l’atmosfera, i vocii, le strade. Alcuna gradualità; lì tra il frastuono dei tram, clacson, nugoli di gente a sorprendere falde di canicola con l’eleganza del surf sull’onda.

Un tribunale sgombro nell’ala destra e nel retro, con il senso improprio dell’ordine apparente, stona come lo scuro sugli agrumeti. Un giorno lambito dal Capo, con cassette di rosee pesche, o varianti d’arancio, a seconda della stagione, possente ed emblema stesso della tolleranza arcaicamente sicula. Rigoli di Cassette ad ogni fianco, acque di pesci anziani, scoccie di carciofi nelle varianti del verde, o di pomodori tendenti al rosso. Per cui, pescivendoli, fruttivendoli, n’abbanniu di arabi rimandi; e scuri volti sotto i riccioli ciondolanti negli scavi tra le guance, con mazzette di picciuli e pizzini ciondolanti per l’arriffata.

Fermo al bar, dove la frenesia rimane alle porte, si ascoltano le notizie vere della città; l’agonia per la politica incapace; il lavoro, i traffici, e chissacosa. Il vecchio aspetta la corriera dentro la barriera fresca confinata dal vetro; l’acqua scorre eterna da rubinetti preda della condensa che da sola da frescura. Non sono straniero; gorgheggio con movenze minime del corpo per dissimulare l’osservare. Scorgo il barista, bianco di divisa in cappello, lesto all’annacarsi (*); la mano nella manopola del caffè. Di tempo è trascorso, ma le gocce stillano ancora lente; una per una, inesorabili, irremovibili. Qui il tempo è altra cosa; un lampo e penso all’avvocato che al telefono mi dice: ''ci vediamo alle nove, ma ricordi che siamo a Palermo''. Nelle frescure nordiche sarebbero venuti fuori tre caffè; e poi ci si chiede perché quell’acqua scura e semplice è così diversa al Sud.

Mosso tra corsi, vie e vicoli, intesso la tela per stringere Palermo e costringere l’immagine a seguirmi altrove. Nel bus un ritornello pesta insistentemente nella mente; ''se sei tu l'angelo azzurro/ questo azzurro non mi piace/ la bellezza non mi dice/ le parole che vorrei''. Nel fondo dello snodato a doppio vagone, scorgo ragazze armate in viso di iconice nere simmetrie d’arte. Contrasti con colori vividi, pungenti nei rimandi della pelle, e gli odori muschiosi che s’apprestano nella mente in richiami impossibili da lenire. Risa; movenze; effluvi di sguardi parventi e ingenui, calati giù dal Parnaso con briglie d’eternità.

Arrivo; ridiscendo, avanzo; vado. Un carico sfinente prima del tempo d’essere disperso in parole.

(*) L'ex Sindaco di Palermo Leoluca Orlando, attento al folklore ed ai fasti palermitani per Santa Rosalia, suole definire tale termine dialettale siculo come il ''massimo di movimento con il minimo di spostamento''.

2 Comments:

Anonymous Anonimo said...

...a volte è piacevole trovare ombre del passato... non sempre son sinonimo di qualcosa di buio o fosco... anzi... tutt'altro... felice di aver trovato tracce di un tuo passaggio...
ricambio il saluto e l'affetto ;)
grace...

9:13 AM  
Anonymous Anonimo said...

L'arte di convertire scenari,emozioni e mormorii di vita,in parole tanto fertili da produrre visioni nitide e vive,è una virtu'.
Narrare col solo ausilio del complesso dei vocaboli e delle locuzioni,produce un racconto sterile.
Guardare invece alle cose,prestando gli occhi all'anima,rendendo cieca e reietta la propria fisionomia e concedendo dilazioni alla propria assenza,produce scritti amabilmente melodici,che come suoni vocali ,letti nella mente,s'accordano in perfetta armonia al ritmo placido o trepidante del cuore.
E' quello che fai e provochi tu ,Manilo,quando scrivi.

3:51 PM  

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