Rifratta nello specchio d’acqua, quel mattino la Torre si ridestò lesta. Altera per i flutti infranti sulle pendici colleriche degli irsuti bastioni. Scevra al divagare, spiò capra e fregio di casata Cabrera, cappello sull’arco del ponte d’approdo. L’ombra risuonò frastagliata sulle tegole d’arancio dei fondachi, rivoltando dai sacchi di iuta i campieri, guardiani di farine e cereali dalle bramosie di briganti color bitume e dai più frequenti incisivi acuminati di bestiole scure e ricurve.
Volse lo sguardo alle terre, e le chiamò Pozzallo, si chè l’origine non fosse un giorno mantata d’oblio. Richiamò lo Scirocco a disseccare i pantani e invogliò nugoli di canne per trattenere le sabbie d’oro ascese dai fondali. Cacciò, infine, un urlo all’orizzonte dell’antica vista dei mori, e sullo scoglio negletto, ora isola dei Porri, apparve un Faro giallo d’arsura e lampara.
Poiché fu sera, sonnecchiò, e rimase immobile più secoli. L’uomo pose la mano e pittò case sbiade e irreregolari, d’interseco privi al senno. Le intarsiò di pietra bianca lungo le banchine e ne tinse le mura color vago; pastello. Nacquero porti d’attesa, sordi alla novella; poi tempii, mercati e spiagge punteggiate da grandi ombrelli.
V’è ancora una torre per chi s’appresta a Pozzallo; mesta per l’assenza d’acque. Vuota di truppe e vigore, s’adagia offesa sui fondali. Canuta e impotente spande sprezzo al pontile, infame Fiera di antiche alleate maree.
Sormonta rena dov’osavano vessilli e bastimenti; e blasfemi vetri si frangono sui torrioni. Una volta teatro d’assalti Saraceni.
Volse lo sguardo alle terre, e le chiamò Pozzallo, si chè l’origine non fosse un giorno mantata d’oblio. Richiamò lo Scirocco a disseccare i pantani e invogliò nugoli di canne per trattenere le sabbie d’oro ascese dai fondali. Cacciò, infine, un urlo all’orizzonte dell’antica vista dei mori, e sullo scoglio negletto, ora isola dei Porri, apparve un Faro giallo d’arsura e lampara.
Poiché fu sera, sonnecchiò, e rimase immobile più secoli. L’uomo pose la mano e pittò case sbiade e irreregolari, d’interseco privi al senno. Le intarsiò di pietra bianca lungo le banchine e ne tinse le mura color vago; pastello. Nacquero porti d’attesa, sordi alla novella; poi tempii, mercati e spiagge punteggiate da grandi ombrelli.
V’è ancora una torre per chi s’appresta a Pozzallo; mesta per l’assenza d’acque. Vuota di truppe e vigore, s’adagia offesa sui fondali. Canuta e impotente spande sprezzo al pontile, infame Fiera di antiche alleate maree.
Sormonta rena dov’osavano vessilli e bastimenti; e blasfemi vetri si frangono sui torrioni. Una volta teatro d’assalti Saraceni.
5 Comments:
Una fetta di Sicilia raccontata come se a scrivere fosse stato un viaggiatore dell'ottocento.
La descrizione richiama alla mente immagini baudeleriane
Lambisce l'acqua da tre lati,l'inerme sagoma della torre merlata.
Ultimo saluto di uccelli migratori,in coda al tempo di belle stagioni.
Incontra l'argine la dea della Triscale.
Giunta al margine della sua terra d'origine,dimena gambe e volteggia propizia,in voluttuose visioni volubili;
prosperosa e simbolica,non ha braccia per nuotare.
S'affretta la luna,alla consuetudine del turno.
Specula la lealta' del chiaro Pozzo al mare,e l'avvezzo pregiudizio smentisce,che umida è una sembianza fallace,specchiando al cielo un verosimile riflesso!
Molto bello questo racconto.
-Ombra-
http://ombra.ilcannocchiale.it
Fate morgane le nostre spiagge. Pozzallo, Diamante (la mia), erano già nella mente degli dei quando sono state create.
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