martedì, agosto 2

Una sviolinata prepotente di clacson. Si ridestò con le braccia a piramide, la cui base posava sul legno scuro e scialbo della scrivania, e l’apice terminava nell’intreccio di dita sulla fronte. Oltre la porta, e poi ancora l’altra, non s’avvertiva alcun segnale sonoro. Così le voci gravi, quella sera, erano andate via, portandosi dietro corsi di lagnanze e fisiognomie mal recitate.
Dal giorno di Isaia, santo e profeta, quel 9 maggio in cui tanti sguardi s’incrociarono biechi all’incalzo delle sue parole, i sopori divennero focolai di premonizioni. Quelle notti la moglie sentiva le sue parole disarticolate nel sonno; quei fraseggi che di giorno mancavano, e dall’arrivo a Palermo erano divenute pesanti e sporadici.
Unì le gambe e si alzò; mosse a memoria la mano sinistra e agganciò con il dito l’immancabile gilet, pressando in un sol movimento l’interruttore della luce gialla. L’ampio corridoio echeggiava dei piccoli vezzi delle donne delle pulizie; e nelle ampie vesti color pastello sorridevano nella mente di memorie d’infanzia. Scese la scalinata con l’audacia dei tenaci, e sparì per via Volturno, tra alberi che allungavano le proprie ombre minacciose e librai dell’usato seduti a cavallo di sedie rigirate. Via Libertà, Piazza Vittoria, Monreale; aculei forzosi nella mente e moniti di isolamento e sangue. Volle donarsi un pensiero diverso in quel momento; pensò all’indomani. Da un po’ aveva abbandonato l’idea del futuro; figuriamoci poi se fatto di diletto. L’Eolie, il mare, il cielo, l’azzurro, l’aria e la libertà; un solo giorno, e via per un po’. Rimandando tutto a settembre, come per le riparazioni di scuola. L’aleggiare durò pochi passi, sino all’attraversamento per il Massimo; l’autobus ''Acquasanta/Stazione Centrale'' gli fecero balenare alla mente le decine di morti di Bologna. Solo quattro giorni dalla strage fascista, con le incertezze gradualmente aumentate e il mistero puntuale e fitto.
Era il sei Agosto 1980, i funerali si erano già svolti, e le lunghe ore in ufficio gli avevano negato la visone dei soliti anatemi fasulli dei telegiornali. Tagliata Via Ruggiero Settimo, articolò qualche passo verso l’edicola-libreria in principio di Via Cavour, per prendere il solito giornale. Avrebbe sbirciato anche qualche libro, di cui era raffinato cultore e lettore. Qualche goccia di troppo sembro pendere dalla fronte; erano schegge di vetro che frantumati dagli occhiali gli perforarono il viso assieme a piombo e infamia. Solo, nel caldo cocente dell’aria siciliana, e nei bollori dell’asfalto, cadde nella pozza di sangue che intrise madida la camicia. Il Killer, che l’aveva seguito passo dopo passo, scomparve per i vicoli impervi della città.
Erano le diciannove e trenta, e passò molto tempo prima che arrivasse l’autoambulanza.

''Trascorse ancora un’ora prima che le autorità di polizia, questore in testa, capissero quanto era successo. Si, ma allora è Costa, concluse finalmente qualcuno''.

Gaetano Costa intanto moriva; l’indomani una scorta l’avrebbe seguito nella vacanza alle isole Eolie. Il sei agosto invece era solo, così come l’avevano lasciato i suoi colleghi e lo Stato. Le indagini sul clan Spatola, la cui firma per la conferma degli arresti costò la vita a Gaetano Costa, vennero affidati da Rocco Chinnici ad un certo Giovanni Falcone.

Ombre tutte, che vagano da memorie ad anniversari troppo dolorosi da ricordare.

La frase riportate tra virgolette sono tratte da ''Venticinque anni di mafia'' di Saverio Lodato. Il resto è liberamente tratto dalle pagine dello stesso libro e dai notori fatti di cronaca di quei giorni. L’ambientazione e i particolari, palesemente fantasticati, vogliono essere un modo per tenere altamente viva e risonante la memoria di un servitore dello Stato a cui lo Stato ha voltato le spalle.
Continueremo a credere, impavidi, ad uno Stato con la ''esse'' maiuscola.

1 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Un Uomo giusto che ancora non riposa in pace perché non ha avuto giustizia anche se è morto per l’affermazione della stessa.

9:31 AM  

Posta un commento

<< Home