lunedì, ottobre 28

Piccole mani, mobili, attorno all'esile corpicino. Ruotate e in fermento, di sovente le innalza, assieme allo sguardo, alla ricerca di qualcosa o per farti osservare ciò che già ha analizzato in profondità. Lidia. Le minuscole ginocchia leggermente piegate, a raccordare il sederino un po' all'indietro. Gli occhi grandi e scuri, accentuati da folte ciglia che ne sottolineano l'intensità. Provo a sollevarla con le mani ma, lo sento, già sfugge. E' costantemente proiettata in avanti, al momento che verrà e che ancora non ho intravisto, io. Placarla, confinarla, tutto inutile, è mossa e ribelle, per impeto fisico, innanzitutto, e per incontenibilità intellettuale, subito dopo. La cerco inseguendola, ma è troppo veloce, annaspo e non mi arrendo e a volte, di rado, mi trascina nel suo mondo parallelo. Quei quattordici mesi e quella volontà definita ed inviolabile, bastano ad incutere timore; ha una vita innanzi, e chissà dove potrà arrivare, anzi librare se stessa. Essere all'altezza, un dilemma che inchioda tutti, ma sentirsi inadeguato per una vita che emerge lascia una traccia. Lei mi osserva, e io la guardo, immobile il suo sguardo e le mani basse e immobili, poi alza il musetto e mi fa un cenno. Sembra capire, sempre che ce ne sia bisogno, poi un sorriso a due denti, semplice, come mi vorrebbe. La seguo, si siede per terra, scoperchia il cesto e gli si riapre il sipario.