sabato, dicembre 7

In quei vicoli improbabili, dove scarseggia la luce di quegli avari lampioni disseminati a caso. Dove quei lontani bagliori sono troppo bianchi e crudeli per testimoniare quella notte che si spera tiepida, perchè in fondo bisogna pensare. Emergono li quei bar in cui non vorresti mai entrare, in cui sussulti tra te stesso "ma io che c'entro? Sono qui per caso e non certo per farvi parte". Arriva il momento - perchè arriva, ve lo garantisco - che bisogna varcare quella soglia, perchè qualcuno vi ci porta per mano, o perchè il caso - Lui - vuole, o è una sfida, silenziosa, con se stessi, contro l'istinto. Dentro, fateci caso, la poca luce è mal dislocata, sfiora bottiglie svuotate dal tempo e bicchieri consumati dalla noia. Cerchi il banco, o una persona, e ancora ti porti dietro, tra il biancore del fumo consumato non si sa quando, il gracchiare di quella porta, forse spia, ma sicuro monito. Quando decidi che che è troppo tardi, non si può tornare indietro, ecco che appare qualcuno che, a ricostruir il percorso, c'era già, giusto lì nell'angolo, dove altre due persone confabulano a voce bassa e distrattamente ti osservano nel profondo degli occhi. Sei in più, non potrebbe essere altrimenti. Ma allora - dici a te stesso - "perchè non sprangate la porta, o scrivete "attenzione a voi che entrate", o meglio, si, esponete astenersi dal praticare il bar". Non puoi che, dato che sei lì, vagare altrove, e chiedere il solito caffè, perché sei sicuro che ad una richiesta più mirata seguirebbe una smorfia. Si può entrare in certi bar, ma non bisogna porsi domande, poi una volta usciti si può riflettere per capire che senso hanno. C'è sempre un bar così, in ogni città, almeno uno, e continuano a vivere a dispetto del tempo e degli altri che, lussuosi e brillanti, passano e svaniscono, come tutto il resto.