mercoledì, dicembre 18

Una cripta rugosa, bianca come la pietra che le da la forma, che polverizza lungo pareti ed interstizi una luce cadente. Una cella, dove rumori e vizi si disperdono attoniti, filtrati da quei calcariniti docili all'intaglio e sordi all'eccesso. Li, nella stanza dello scirocco, il mondo non entra, approdo fuori dalla storia e dalle inclinazioni del momento. Centro di gravità senza tempo, dove lo spazio fluttua deformato dai lunghi meriggi arroventati dall'estate. Nella stanza dello scirocco, cinico vento che spira da sud-est rinseccando la mente e le ginocchia, vorrei rifugiare certi ardori dell'animo, placando frenesie inconsulte e insensati inseguimenti a spirale, come sovente si scorgono fare i cani con la propria coda.
Oltre la caparbietà dell'indole, innestata nella stirpe siciliana, gli arabi lasciarono l’impronta del loro modello culturale di intendere l'urbanistica e l'architettura. Ogni nobile casa, così costruita, aveva una camera dislocata nel sottosuolo i cui corsi d'acqua, kanat a Palermo, vi scorrevano circolarmente tra i sedili ricavati nella pietra, refrigeravano gli interminabili giorni in cui soffiava lo scirocco. Lì vorrei tramandare, lieve, la mia presenza, lentamente mescolata con il gorgoglio dell'acqua, che cingendomi attorno possa dissetare l'insaziabile mia arsura. Bramo il dì in cui le leggende possano lasciare un segno, risvegliando quel fondo di verità di cui sono intrise. Basterebbero, allora, tre grida uguali e cadenzate per far crollare stanza, scirocco, ed edificio. Dovrei trovare il punto però, unico e solo, da cui innescare la caduta verticale. Poi intonare tre volte, Vento, Vento, Vento!