Nel buio ricordi; anzi, riverse nei quadrati spaiati di coperta, c’è una schiera di spalle magre cotonate che borbotta. Senza sigaretta alcuna, ma con il fumo tra le labbra, sorseggiano bagliori di luce proveniente in trasparenza da uno schermo vitreo. Con le ore che scorrono, sfregano le mani in movimenti circolari, ritrovando istanti di calore; osservano scuri angoli alti di parete in cui planò qualcosa; aprono botole scricchiolanti d’armadio, ansimanti per l’ultimo dei segreti ripiegato entro quattro pareti a ricoprire una lettera volata lontano.
Ti muovi; ma in vero, migrano attraverso le immagini, rivedono luoghi e rimestano sentimenti imprecisati nella mente. Parlano, e aizzano fiumi contro, scagliano esperienze e occasioni incolte.
Nell’ultimo pulpito incorniciano la postura, abbandonano il giovanile perdono per frasi sottili e radenti come luce del mattutino.
Mi implodono tutte dentro nella raccolta delle accuse evase di ogni giorno, per quella ragionevolezza mai carpita. Aliti grevi, facili al ripudio da cui fuggire ad occhi aperti verso la vita. Ansie rimaste latenti per gli anni che rimarranno, affiorate alla pelle come spilli sottopelle che diniegano l’appoggio consolatorio.
Quando incoscienti
usciamo dalle scure stanze
riscendiamo scalini
senza tregue nei rintocchi
sordi dei passi,
rigiriamo il circolo
con il grido in gola
che assorda la mente.
Uno in più,
solo questo
alla collezione di strati
presto levitanti d’oblio
e in agguato digrigna la sera
adagiando quella rugiada
stantia di brina e respiri.
Avanziamo distratti
entro riflessi filtrati
da tepori degni d’artifici;
scaliamo marce
per riprendere la corsa ceca
d’una vita da immaginare.
Ti muovi; ma in vero, migrano attraverso le immagini, rivedono luoghi e rimestano sentimenti imprecisati nella mente. Parlano, e aizzano fiumi contro, scagliano esperienze e occasioni incolte.
Nell’ultimo pulpito incorniciano la postura, abbandonano il giovanile perdono per frasi sottili e radenti come luce del mattutino.
Mi implodono tutte dentro nella raccolta delle accuse evase di ogni giorno, per quella ragionevolezza mai carpita. Aliti grevi, facili al ripudio da cui fuggire ad occhi aperti verso la vita. Ansie rimaste latenti per gli anni che rimarranno, affiorate alla pelle come spilli sottopelle che diniegano l’appoggio consolatorio.
Quando incoscienti
usciamo dalle scure stanze
riscendiamo scalini
senza tregue nei rintocchi
sordi dei passi,
rigiriamo il circolo
con il grido in gola
che assorda la mente.
Uno in più,
solo questo
alla collezione di strati
presto levitanti d’oblio
e in agguato digrigna la sera
adagiando quella rugiada
stantia di brina e respiri.
Avanziamo distratti
entro riflessi filtrati
da tepori degni d’artifici;
scaliamo marce
per riprendere la corsa ceca
d’una vita da immaginare.
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