sabato, gennaio 1

Un sogno proviene dalle tende poste dietro la memoria; un incubo si muove silente attorcigliato nei retaggi lungo gli anni. Acque si sfaldano dai costoni ed investono le terre svilite dal cielo opaco. Nella spuma e nell’agitazione non c’è vita ad emerge, solo listelli di tempo per fuggire. Il sole è ritratto, le espressioni mutano sul giallo terso; il tappeto delle infanzie prive di pensiero si contamina di gocce di vita violenta. O tracce di fine assoluta, dove preposto all’oblio v’è il tutto raccolto nello stillato di sentimento. Fuga con alle spalle l’onda, senza salvezza ne remissione, privati d’un lembo caldo, come anche della freddura dei gorghi. La base, la tranquillità, si ribella con il piede del contrappasso all’insolenza; o forse è il velo sacrificato all’innocenza.
Poco più in la c’è una terra sprofondata a strapiombo, rette stanze prive d’aria, fughe e finestre. Estremi che lambiscono l’impotenza apostrofando l’estrema presunzione del genere umano; irto a giudice delle imponderabili sequenze. Reo d’aver creato il fallace tempo e d’aver ricamato emisferi ove in vero può solo l’Eterno.