sabato, dicembre 28

"Quando leggo, se leggo per il piacere di farlo e non per lavoro o studio per me il libro (ossia la vil carta) è necessaria. La freddezza virtuale del computer non mi ritorna lo stesso calore, la stessa empatia che provo a manegiare un tomo. E, certe volte, più il libro è voluminoso più mi ci tuffo dentro perché ho la certezza che in quelle pagine mi perderò e solo dopo tanto tempo ne uscirò. Probabilmente, caro Manilo, il tuo rapporto con la fotografia tradizionale è dello stesso tipo, direi tattile e sensoriale. Cosa che il digitale difficilmente ti ritorna."
Questo è il commento di Pietro sul tema fotografia digitale o classica, tecnologia e arte.

La tecnologia mi convince solo se apporta un vero progresso. La tecnologia fine a se stessa non ha senso, ci fa precipitare indietro nel tempo e ci rende schiavi del mezzo, quando l'obiettivo dovrebbe essere il fine. L'argomento è vasto, e si presta a varie interpretazioni. La fotografia digitale per un fotoreporter è reale progresso, perché riuscirà a compiere il proprio lavoro con maggiore velocità e precisione. Purtroppo, però, anche questo sistema produce delle storture, perché spesso la gara tra i vari media non è sulla qualità dell'informazione, ma nella capacità di "bruciare" i concorrenti nel tempo. Al di la, comunque, di certi aspetti professionali estremi, l'arte e i mezzi per crearla richiedono tempo, ponderazione, carnalità e fisicità con la materia trattata. Non riesco proprio ad immaginare un Cartier Bresson del 2000 con un apparecchio digitale in mano. E' vero che l'arte non conosce confini, ma le foto "artistiche" o presunte tali realizzate con il digitale mi appaiono come quelle costruzioni messe in atto da certi architetti giapponesi attualmente in voga. Forse originali, strabilianti, ma senz'anima.
Qualche tempo fa Umberto Eco ha tenuto delle lezione circa la non migliorabilità di certi oggetti comuni, che vedono nella loro semplicità la genialità irraggiungibile. E' il caso della forchetta, del libro o della penna. Tutto quello che si può aggiungere rischia di essere quel dippiù che ne appesantisce l'uso. Mi sembra che questo valga anche per l'immagine; d'accordo, nuove possibilità, svariate manipolazioni, sembrano arricchire il mezzo. In realtà per scattare una foto è sufficiente, ed è contemporaneamente il massimo, il rapporto empatico tra scena, apparecchio fotografico e fotografo. Dubito, che un "beep" che segnali le pile esaurite, o cento led lampeggianti e trentadue pulsantini, possano apportare un miglioramento. Poi, è notorio, tutto è relativo, e aspetto smentite.

1 Comments:

Blogger faustpatrone said...

caro amico,

ho scoperto per caso il tuo blog e questo post (cercavo qualche giudizio su una fotocamera, per fare fotogiornalismo) e non posso fare a meno di intervenire.

come professionista nel settore ho sempre trovato un po "snob" quello che ritengo un vero pregiudizio sulla "fredezza" del digitale. per il semplice motivo che segue:

la genialità non conosce limiti imposti dal mezzo, anzi è capace di far uscire fuori con estrema eleganza i limiti del mezzo e di spostarli sempre una spanna più in là.

quindi trovo priva di senso la diatriba analogico/digitale in fotografia.

quello che conta non è il mezzo, ma come lo usi. il mezzo può essere un indirizzo ed è assurdo ignorarlo, ma questo vale solo per acquisire la necessaria confidenza tecnica.

una volta appresa la tecnica di queste menate - e tecnicismi - ci se ne può, anzi ci se ne deve sbattere.

quello che conta è come utilizzi qualcosa. se sei consapevole o no dei suo limiti, delle sue potenzialità e se riesci a tirarne fuori cose interessanti e nuove.

per questo sono certo che Capa, Cartier Bresson, Serrano e tanti altri maestri sarebbero stati perfettamente a loro agio anche con la più truzza delle digitali in mano.

altrimenti la classe e il genio o la semplice professionalità non avrebbero senso, ti pare?

dibattito comunque interessante.

un saluto affettuoso e buon anno.

1:18 PM  

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