domenica, maggio 25


Alla ricerca di qualcosa, rincorrendo me, i miei pensieri, i miei sogni sempre più insistenti, portavo una macchina fotografica e poche lenti. Tutto quello che si cerca, ogni stato d’animo, ogni emozione è già nelle cose. Lo scenario, spesso casuale composizione degli elementi, esprimono l’inclinazione di ogni persona. Ho sorpreso barche specchiarsi vanitose nell’acqua, coperture d’automobili disposte per adornare un molo, pali della luce inclini e circospetti, marciapiedi che s’inseguono e litigano. Palermo mette in difficoltà, è bella, pervade, e scorre nel sangue. E’ difficile “sentire” i vocii nel fiume in piena dei segnali e dei rimandi.
Mi sono svegliato nel pieno della notte, c’è qualcosa che mi rende irrequieto, non riesco più a stare a letto; mi alzo, prendo la mia borsa e svicolo con la mia Fiesta. Sono le quattro del mattino d’una città calda, che assopisce e si apre tra i vicoli; alcuni svirgolano verso il mare e altre si inoltrano nelle campagne. Attraverso l’Addaura, frastagliata tra scogli e il ronzio del mare e arrivo a Mondello. Non mi fermo, dico no, quella sabbia, quell’essenza di alghe nell’aria è troppo coinvolgente di per se per riuscire trovare qualcos’altro. Avanzo per Capo Gallo, mi fermo, posteggio nel bordo del viottolo, scricchiolante d’erbe secche, ridiscendo infine verso il porticciolo. Sfodero finalmente la mia Contax, prolungamento della mia vista, inquadro e osservo. A tratti mi sento estraneo, perché ad essere spiato sono io; sento pesantemente su di me l’impronta di ogni elemento, che non vuol essere carpito e violato. Ne sarà passato di tempo, io lì, attonito, su di uno scoglio, alla ricerca di convincere. Mi accorgo di essere diventato parte del tutto, riesco a sentirne la lieve brezza e capisco che è la voce di ogni cosa. Guardo nel mirino; i blocchi d’argine, neri e scomposti, rivolti più a riva che al mare, tra sabbia e scogli, in un luccichio di tinte a fasce di barche sull’acqua, appena turbata da una corrente forestiera. Mi muovo in cerchio, il sole era a mezz’aria a Ponente, apro il diaframma e abbasso i tempi, sempre più, isolo un lampione, di quelli della luce, almeno è quello che in quell’istante credo. Incerto, nervoso, non era solo, era tra qualcosa; retrocedo di qualche passo e diminuisco la focale. Li vedo, il primo insieme agli altri, sono quattro; stagliati, attenti, con un loro senso imperscrutabile. Beli, unici, in fila, equidistanti, ora scomposti. Immobile, abbasso l’apparecchio e alzo il capo; non altro, quella è pura propensione. Muovo i gomiti, inquadro, ricevo l’assenso, e scatto.
Da quel mattino, sono lì ad osservarli, loro non si sprecano in inchini, ruotano, s’adagiano l’un l’altro e mi aspettano.