lunedì, maggio 12

Ci sono tratti di nostalgia che mi attraversano, sento tutto passare e svanire, e la sensazione mi apre un vuoto insanabile. E’ difficile a volte codificare i segnali, tradurre blocchi e stasi in messaggi verso qualcuno o qualcosa. Tutto sfugge maledettamente, non c’è tempo e modo di gustare e vivere e si è già oltre, eternamente altrove. Lo sapevo, e l’ho scritto, è meglio che le cose rimangano per quello che sono; che un blog rimanga una traccia sullo schermo, virtuale, ma forte e vero come ogni cosa che sorge dall’essenza della nostra mente, dallo spirito. Si, perché Sabato – questa è la mia opinione –, al webbit, non eravamo noi, profondamente, volevamo apparire, essere brillanti ed efficaci. In fondo siamo padri e madri, partoriamo blog, che poi si affrancano e volano via, con una loro storia, una loro vita e autonomia. Non ho trovato le tracce profonde, i nostri amati blog, propensioni dialettiche uniche, tanto da farne un evento, ma solo persone – parafrasando Pirandello – in cerca d’autore. Eravamo schiere d’amanti, appassionati nel raccontare il nostro amore che era inevitabilmente altrove. Eppure il vuoto è lì, lo sento e ne sono preda. Eccezionale internet o il virtuale, se preferite, impossibile altrimenti unire cento o più persone, come nella stanza del libro di la Pizia, cosi eterogenee nel modo e voglia di esprimersi, eppure così sottilmente assonanti. Abbiamo vagato nel gusto della parola, nel suono pronunciato, attraverso il senso dei silenzi e degli sguardi roteanti e incantati. Pur contraddicendomi, mi manca Sabato, l’ultimo, che in un’ora ha esaurito la sensazione rara di essere a proprio agio. Condizione unica, per me, fuori per definizione, pendente tra punto e canto.
Vorrei scrivere, ora, e non abbandonare rigo e traccia, vorrei rivivere la bellezza di Sabato, sperando in altri cento.
Complimenti a Eloisa, o a chi per lei, per avere scelto un Sabato. La Domenica sarebbe stata già diversa, con noi pronti a ritornare.