mercoledì, maggio 7

Mi soffermo ad ascoltarne il suono. Parole, che incidono la mente, pendenti tra i contrasti dei fogli bianchi e le movenze ritmate delle labbra. Sento il vagare in versi, e mi emoziono. Libero la memoria e ne concedo il transito; a tratti emergo violento e fagocito sillabe ed essenza. Ho sorbito la frescura di un torrente, dove cristalline stillano parole spioventi. Ho spiato echi inclini e febbrili che tondeggiano in danza. Plano tra quelle navette sonore, da rivolo in rivolo, sospeso in un racconto che non ha voci, ma immagini e sguardi.
Da punto a verbo, tra le righe delle pagine di un libro, muovo l’indice con l’ansia di flettere il reale e lenire ogni pena. A volte offro il ventre a un parto, le parole si nutrono della mia linfa e impassibile le sento sfuggire. Non c’è più intonazione e tratteggio a colorarle, vivono indipendenti e irraggiungibili.
Tra i rimandi osservo le virgole, poi gli spazi che scandiscono tempo in un effluvio di corrispondenze.
Fernando, Fernando, folgorante presenza in una rincorsa di facce prepotenti e scalzanti.
Fernando, Fernando, viaggiatore impareggiabile tra cumuli di simboli alienanti.
Fernando, Fernando Pessoa, poeta del controverso, dell’amore perché mai citata.
Fernando, Dio della parola Suprema.

In un sogno convergo in un’idea, svanisco in un sentimento e vivo in una sola parola.
Ora, già desto, sono solo tratto, suono e idea.