domenica, maggio 18

Questa mattina mi sono fermato a Mantova. Una schiera di ombrelloni bianchi si sorreggeva a vicenda; sotto, tavolini sparsi illuminati dalla luce filtrata, quindi tenue e propizia. Il posto ideale, mi dico, dove aprire un giornale, o un libro, e abbandonarsi alla lettura. Qualcuno ha preso tra le mani un disco, di quelli ancora in vinile nero, e vi ha adagiato un braccetto grigio con la punta in diamante. In ogni angolo, il crepitio delle scarpe con la suola in cuoio sul pietrisco medievale è sommesso e diffuso. Tintinnii di tazzine, il reflusso dei bar, alcuni voci; sembra questa la musica diffusa. Altro non si ode. Un vecchio, con in mano un libro, ingiallito, sfoglia le pagine e volge lo sguardo al campanile. E’ in cerca di una storia, forse la sua, ed è lì per capire se mai qualcuno l’ha raccontata; poi flette il capo e chiude lo sguardo. Congiunge la mano sinistra alla destra, come in segno di preghiera, ma al centro ha solo pagine dai bordi gonfi e sfilacciati. Mi avvicino, prendo anch’io qualcosa in mano, credo un breviario, ma riesco solo a carezzarne le pagine e ad osservare la scena. Sorpreso, forse infastidito dall’ingombrante presenza, si muove tra sedie e persone, volge ancora per un attimo lo sguardo, si sofferma su di un tavolo ricolmo di cappelli, colorati, alla moda, accenna un sorriso e svicola via. Per sempre.