Lidia corre, dall’angolo al centro di ogni strada. Si sofferma incantata attorno ad una fontana solitaria, i giochi e il gorgheggio dell’acqua sono un’attrazione catalizzante. Si sporge, ponendo istintivamente il ventre come baricentro del muretto, è caparbia, e tocca l’acqua con le punte delle dita. In quel vago quadrato ritrova tutto, e non lesina tempo nel manifestarlo. L’angolo si è riempito di due passanti dalla pelle scura, ma lei non distingue, e sconosce il vizio del preconcetto; si avvicina sorniona, accenna un giro su se stessa ed emette un sorriso coinvolgente. Cerca approvazione anche fuori dalle mura domestiche, vuole comunicare; non è ancora preda della barriera di silenzio che appartiene ad un’inevitabile interpretazione di ruolo. Tra panchine e vetrine è ovunque, mobile come solo l’ingenua energia di quei giorni può dare. Noi siamo prodighi di insegnamenti, per farla crescere bene, per consentirle, un giorno, di vivere un equilibrio stordente di gioie e dolori. Mi sorge un dubbio. Forse, inconsapevolmente, stiamo rimpinzandola di codici e schemi fissi. Lidia vive tutto come nuovo, non associa ricordi, non filtra sensazioni. Noi, prepotentemente, la società, associamo alle sue immagini pure norme e convenzioni, e siamo contenti sorridiamo, quando lei mostra di aver capito, e, per darci il contentino, recita la lezione a memoria. E’ un mondo fantastico il suo, e per poterlo vivere ci tratta da ignari, così potrà continuare a vagare con l’immaginazione. Un giorno, mi dico, le cose saranno diverse, anche lei si piegherà alla consuetudine per non venirne schiacciata. Mi basterebbe la consapevolezza, la capacità di sapergliela dare.
A un tratto osserva due figure, si muove a lato di due signori assopiti dall’afa, osserva un pacchetto bianco sulla panchina e ne preleva, sulla sommità, dei cerini colorati e sonori. Lui, il più vicino, accenna uno sguardo e un sorriso imbarazzato, lei, stranamente attenta al nostro richiamo, ritorna, ma poi svicola e riprende il mano il pacchetto e lo restituisce ancora. L’uomo ripone tutto in tasca. E’ la fine del gioco.
A un tratto osserva due figure, si muove a lato di due signori assopiti dall’afa, osserva un pacchetto bianco sulla panchina e ne preleva, sulla sommità, dei cerini colorati e sonori. Lui, il più vicino, accenna uno sguardo e un sorriso imbarazzato, lei, stranamente attenta al nostro richiamo, ritorna, ma poi svicola e riprende il mano il pacchetto e lo restituisce ancora. L’uomo ripone tutto in tasca. E’ la fine del gioco.
0 Comments:
Posta un commento
<< Home