lunedì, settembre 22

Ho visto una persona con gli occhi tristi, era l’uomo più felice del mondo; era un prete, lui. Mi ha raccontato del suo tempo, quel tempo che oramai è andato, sperduto, quasi irrecuperabile. Ha ricordato i suoi giorni successi un tempo, dell’incerto, dell’oggi; di quella luce che nel culmine del campanile brilla in una punta metallica. Ascoltavo, non sapevo cosa chiedere, se parlare; ho attraversato il suo nodo in gola tra palpebre in socchiusa attesa. Attorno, alle spalle del campanile, tra chiesa e canonica c’era quell’impero che è la quiete in un campo sterminato di silenzio; gli odori inseguivano quei trattori che frenando le auto costringono in riflessione.
Ho incontrato un uomo diverso; se avesse avuto un’altra faccia o un altro nome, se non fosse stato sacerdote solitario di conquiste, non l’avrei mai guardato negli occhi. Uomo diverso, lui, o forse come tanti mai lambiti. Dovremmo saperci guardare, noi uomini. Dovremmo.
Sono andato via, con il mio solito rosso; sono scomparso dietro a quel vico che si avvicenda tra case di persiane serrate, pareti ombrose e passi disadorni; ha teso la mano, mi ha appena osservato con un tirato sorriso, niente di più, niente d’altro. Ho visto quegli occhi, i più tristi che abbia mai scorto; gli occhi tristi dell’uomo immensamente felice.