domenica, settembre 28

Qui la luce è spenta da tempo, non occorrono domini o blackout. Ogni sera cala il sipario, a guardar fuori si può solo constatare la costanza: lo scuro. L’alzarsi nella notte è diverso; qui i cataclismi non provengono, ma fuoriescono. Così che, volte le cinque, con il bagliore della sveglia, mi sono calato giù per le scale; oltre la tenda, finestre spente, da casa in loco. Non è successo niente, la solita mancanza; quella che al mattino volge, e inizia la vita. Imbracciata la torcia; è sempre sul forno, quella; ho inquadrato la porta, il bagno, e for di equivoci sono entrato per collimare i tempi e ripartire da un punto comune. Di fronte a tragedie, come nel futile, o quotidiano, siamo propensi alle solite ambasce; perché questo è l’uomo, e a nulla val riflettere, tanto lo siamo; uomini. Rimossa la tenda con quella movenza di cui sono soliti i vigili, nell’intento di muovere virgole d’auto col cenno d’una mano, mi sono soffermato a pensare. Qualcosa non collimava; Iddio sa quanto questo è importante. Tra collina e nugolo di case, c’era oltre al solito svettio d’aria da cui sode la presenza d’auto rimeste; un fascio diretto di luce, poi un altro; un paio assieme, infine, in quell’incrocio di cui il tempestio fotonico è la quinta. Qualcosa ho trovato nel pozzo delle indifferenze; questa notte non è scorsa come le altre, un segno è rimasto. Non cinismo insensibile, il mio: ricordate? qui cataclismi s’appressano fora, mica bussano tra uscio e porta.