domenica, ottobre 12

Non so Bea, mi trovo davanti questa tua missiva troppo bianca, vergata di nero. Mi soffermo per minuti, incerto tra il non capire e il non volerlo fare. Leggiamo certe cose con le lacrime agli occhi, ma poi, dischiuse le pagine, torna il sorriso perché vogliamo che la vita continui. Si è colpevoli a volte solo dell’incapacità di intendere, o di condividere con gli altri le proprie pene, che sono uguali per tutti. Chiusi, sempre troppo isolati nel nostro ego, nell’isola rapita dalle maree degli eventi. Credo in noi, in una mano nell’altra, tra mille delusioni; poi basta, rifuggo da tutto. Anche dalle maledizioni, che fossero financo, gli riderei in faccia per non dar loro la soddisfazione del ghigno alla mia disfatta. No Bea, non perdiamoci, è questa la vita; non ci sono appelli e varianti alcune. Sono queste le sorelle e i fratelli; lo siamo noi visti dall’altra parte. La ricerca è legittima, ma non v’è altro oltre siepe; tutto è visibile a chi vuole intenderlo. Vorrei donarti un sorriso per mitigarti il profondo disagio di appartenere alla razza umana, di avere capacità di coscienza e di sentimento. Questo il vero peccato che nessuno ci perdonerà mai; questa la causa dello scotto che il Dio nostro ci costringerà a pagare; lui armato di Fato e d’Attimo spiovente. Vorrei far adirare persino l’aria, vorrei mortificare lo scenario che ci avvolge nella cappa d’indifferenza, vorrei scagliare un dardo contro ogni statica movenza. Per questo, cara amica, e Sorella, a tratti serro le palpebre, indosso ali e mantello, e stringo un martello. Così un giorno, immaginandomi Thor, Dio del tuono, ho riposto lontano una lercia tuta e ho ripreso i miei panni, intrisi di logori odori, ma carichi di storia che la memoria e i miei Avi mi diedero; loro solo. Noi, Bea, noi malati sfiniti di Cancro, noi spiazzati dagli eventi, noi, che la vita ci ha voluto terminare, solo noi, possiamo sfidare ora la morte. Sono impegnato in qualcos’altro nella vita, oltre che a sfuggire alla morte; che ora non è il parametro di tutto, ma l’Evento di cui farmi beffa per oltraggiare il Destino. Vorrei veramente lenirti le ansie, Sorella, ne vorrei essere capace. E’ troppo amaro ora il mio sorriso, e questo non può che fomentare la pozza d’incomprensioni. Non disperare però amica, mi sto muovendo, sono sfuggito alla morte, perché lo sarò ugualmente quando mi avrà già tra le sue grinfie. Non disperare, Bea, presto avrò per te un sorriso puro, come lo avrò per la vita; presto comprenderò i miei caratteri latenti: invidia, egoismo, cattiveria, menefreghismo e indifferenza. Presto mi farò beffa di loro, e saremo più vicini.