giovedì, ottobre 9

Una tazzina che gira e rigira tra le mani. Un caffè oramai freddo, preda di un cucchiaino che mescola e sciorina. Vestiti troppo larghi, su scarpe comode, troppo, e fuor di luogo. Il capo chino a metà, a dimandare su due occhi neri e roteanti, in ispezione. Osserva, privando l’espressione; statico, tra il fondo del pensiero e la strenua ricerca tra le voci degli altri. Oggi c’erano anche i suoi gomiti, riversi sul bancone grigio d’acciaio fresco d’ansie mattutine.
Solitudine; questo trapela dalla scena ogni dì, fosse financo ferragosto, s’impone nel solito bar di ogni ipotetica città, tanto è uguale. Il tempo non muta, anzi ci cambia. Non resistiamo alle sue forti esalazioni, e deboli flettiamo la schiena per compiere la curva d’ogni giorno. Viviamo nei ricordi, a volte; un caffè si fredda nei tempi d’attesa, tra dita che ribadiscono l’abitudine disanimata ad una movenza. Forse siamo solo noi stessi, e ci riprendiamo il nostro tempo, negandogli persino l’onore d’un sorriso. Non abbiamo parvenze in certi momenti, nel tempo in cui agitiamo un caffè per evocare sapori, prima che per berlo.