Per quei viali, dove s’alternavano i passi sulle polveri bianche, ho avvertito i tuoi occhi neri di braci. In visita alle pene ed ai rimandi del passato, calpestavo ora una, ora l’altra pietra su uno sciame infinito. Code su infiniti segnali, immagini sbiadite su parole e segni non convenzionali sulle mura. Volti alteri a chi li osserva, nell’anelo di storie tramate in tempi lontani. Echi a volte scomposti che rimbalzavano dalle pareti immaginarie delle recinzioni, verso il centro, nel pregno del terriccio confuso di colori ed umori. Cercavo ciò che ero, intuendolo al presente; nel consulto di mappe e pergamene non scritte, avvertendo libero al vibrare. Ma troppo incamera chi per molto ha corso, e, nelle brame d’aria, aspira umori e rivoli; così confuso nel blando sciabordio d’acque vidi l’abbandono dolce. Estraneo al corpo e distante ai pensieri, ho visto il tuo volto scarno nelle guance incavate; priva nel fare e nulla nelle movenze. Nell’attimo ho colto l’inno di rimandi, sorti dall’arcigno diniego della fronte, inarcata a spigolo verso il centro volto. Avanzavo, come sempre, e avrei voluto dissimulare e glissare. Il fragore ed il silenzio della postura, inflitta nell’assoluta flemma del volto, mi hanno indotto a soffermarmi. Qualche gesto circolare, ed il nero-abisso è emerso trasponendo glaciali silenzi verso serenità d’anime e corpo.
Oh piccola viola, fiore colto per l’abbandono dei sensi; mi osservi con lo scrutare d’affetto. Nel momento racconti l’epica storia, poi ti fermi in brevi sibili e ascolti. Allora non sapevi; nelle prigioni del tuo sguardo, ora estorci rimandi: all’osservare.
Oh piccola viola, fiore colto per l’abbandono dei sensi; mi osservi con lo scrutare d’affetto. Nel momento racconti l’epica storia, poi ti fermi in brevi sibili e ascolti. Allora non sapevi; nelle prigioni del tuo sguardo, ora estorci rimandi: all’osservare.
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