domenica, marzo 5

Un precipizio; qualcuno cade verticale, senza tonfo e urla. Succede più volte, ed è un fremito sulla pelle. La mente s’incupisce, gli arti si ritraggono. Così si cerca di guardare meglio e di scorgere il viso, di carpirne i tratti: Sono io, che nello scuro di ogni notte, ed in ogni notte, rivesto panni nuovi e assisto alla mia eliminazione. L’ho sempre pensato, io, ad una vita parallela e remota; questa però in un luogo indefinito è inquietante. Mi sveglio, a volte, e sbircio in quella finestra assieme temporale e spaziale che è l’inconscio, e mi vedo sempre in quella porzione drammatica di vita parallela. Per ogni secondo di quell’immagine, quante ore ci saranno in quell’altrove imperscrutabile? Forse giorni, mesi ed anni, in un diverso compimento. Cosa saranno, fantasie realizzate? Il riappropriamento di quello status di felicità ricercato nella vita reale? E, in quello scenario, cosa simboleggia la mia scomparsa fisica; forse la coscienza dell’impossibilità? O forse li vivo costantemente nella violenza, dove scarico tutto ciò che temo qui, sulla terra.
Da una finestra oggi volgo il mio osservare imperfetto; e se avessi due vite, l’una reale, come l’altra? E se di vite ne avessi molteplici? Forse sto vivendo, ora? Oppure sto sognando e poi, in quel poi, mi sveglierò e vivrò veramente, proprio come ora. Sento l’unicità, riconosco, l’altro come questo che sono ora. Per questo mi metterò in viaggio verso il sogno affinché possa combattere quella lotta che m’uccide ogni notte, lasciando madido di sudore ad ogni albeggiare. Guarderò me in viso, e pronuncerò parole lievi e devastanti come la verità; il tempo della tenzone è finito, è il momento di vivere vivendo. Per uscire dall’incantesimo dovrò sognare in quel sogno; dovrò sentire viva l’aria come sulla pelle e abbandonarmi inerme verso tutti i vessilli opposti.
Vedrai che tornerò; vedrai che puntando l’indice, ci sarà corpo e mente, e con essi ogni pensiero, ogni me stesso.
Se mi sentirai farfugliare, se le parole si impasteranno in alterchi di contingenza grama e in effluvi di TV, non dovrai destarmi; lasciami risalire tutti i livelli per tutti i tempi a disposizione. Potrei essere imbrigliato in qualche rete recondita; non temere però, avrò almeno una lima per violare ogni sbarra.

3 Comments:

Anonymous Anonimo said...

"C’è attesa nelle parole, c’è ansia in ogni istante che cola dalle pareti della mente. Questo è un giorno come gli altri, e da sempre non è mai uguale. La pura condizione volitiva non mi appartiene, mi sfugge l’attimo. Non vivo, perché sono altrove, ma esisto in un’altra dimensione, costantemente sfasata nei ritmi e nelle movenze. Non intesso rapporti nell’attimo, semplicemente non ci sono; ci sarò, forse, ma in quell’alambicco che il ricordo filtra e rigenera.
Una fuga altrove, dove intesso scenari filati in telai mai visti, che mi scavano la pelle e mi scorrono, arteria dopo arteria, sino al più occluso meandro dell’io. A volte, spioventi sbarre, tali rapimenti, smorzano ogni tenue respiro, dove resto spettatore disarmato avvinto da uno stridio vorace, che non cessa perché non è mai iniziato. Ma quando fuori tutto diviene troppo gelido e non rimane che il letargo, quelle turgide spranghe diventano d’uopo, offrendo allettanti congedi dal tutto. Non disprezzo le semplici righe, frutto del genio, limpide e scorrevoli come solo l’acqua di fonte può esserlo. Lì, però, in quei luoghi pastello rassicuranti ai più, non vi abito io, è come il giusto indirizzo su una bianca e striata missiva per un destinatario scomparso, o mai esistito. Quei tratti di chiara vita, che a volte leggo, che spesso invidio e per cui sovente sospiro, non potrei mai trasporle in quelle mute tempeste d’acque sopite che sono le mie righe. Scrivere è un viaggio, come spesso il sogno, ma, se così è, sono il più statico Ulisse che la storia abbia mai perpetrato. Abito nei ritagli, nelle pieghe sommesse, dietro le curve d’ogni cosa e accanto l’ombra dell’ultimo platano. In combutta costante, cerco il sito che sfugge, quel qualcosa, quell’istante in cui rivivo ancora. Basta un libro, con un sincero romanzo, un’immagine stranamente illuminata, un sapore greve ma forte e deciso o solo un pensiero che varca la soglia, ed ecco che lì, attraverso, ricompaio stanco nei passi a scrivere di me o di ciò che mi cinge. Non c’è lacrima, non c’è riso, soltanto spioventi parole da ingoiare in un sol sorso e poi aspettare, e poi capire. O forse sentire, solo quello."

6:08 PM  
Anonymous Anonimo said...

Pensare è la distruzione.
Il sogno del pensiero e' quello di vivere non avendo tempo per esso.
Musa

3:57 PM  
Anonymous Anonimo said...

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2:47 AM  

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