giovedì, agosto 3

Con voce e tono; poi il far dell’avambraccio e la mimica del corpo, infine le risa nella tinta sottratta dei capelli. Con tutto e con questo, in quel volgere di minuti, di lastre scure e trasparenti e lettighe e sonde. Il momento dell’ascolto sommesso, poi il segno del divario con l’uomo che emerge. Tre parole, poi tre ricette ataviche ed essenziali.
Acqua; nei circoli d’ogni parete, nei cerchi di correnti, nelle bordure umide dei ricordi. Tepori d’ansie e vapori, nei pietrischi drenanti di piogge attese. Zampilli nell’incrociare assurdo di fontane d’Agosto, in vasche gialle in cui emergono monete bronzee. Pozzi artesiani di voglie di scavare la terra, per aspirare gocce ed umori.
Sale; nei cristalli bianchi sgretoli della pelle, quando le arsure spinte lasciano ruvidi tratti. Come nei rivoli asciutti degli occhi. Di seccure, come nelle distese rosso acceso lungo le banchine delle memorie, quando gli effluvi superavano gambi di sedie incolonnate. Polveri, nel verseggiare roteato di certi mulini, nel diffondere delle tinte del bianco.
Sole; elemento cardine che anela, dirige e sistema ogni pulviscolo; in questa terra in cui noi uomini viviamo d’attese sotto gli effluvi scomposti. Quando ogni ricordo passa e trapassa per tazze di porcellana con acque ed oli galleggianti. Allora, e poi chissà quando, bisognava togliere, elidere gli effetti.
Terra che ricorri nella mia mente; immaginario, limite e potenza di questa mente che sorvola nelle pieghe dei secondi. Quando non c’è tempo per pensare e balbetto rendendo l’immagine dell’indeciso, e sono altrove, e sorvolo sopra muretti a secco per carpirne l‘ultimo segreto. Quando i gialli dell’indefinito, di verdi risucchiati d’acqua, nei trattamenti di sale e sole, effondono sospiri d’essenze d’erbe ancestrali, rilasciati tra i montarozzi di pietrai bianchi. Il pensiero passa e sospende sassi, seminando punti come alterchi nel cielo. Poi arrivi nella curva, giù per la calata, e non c’è niente ed altro.
Osserva lo sfiorare dei piedi, paralleli e composti, come nello riempire caselle disegnate da segni inesistenti delle dita. Pensa le gambe ritte per quel che si può, e poco importa; definiscine i rigori e le stabilità. Qui, Padre, con il busto e con il resto del corpo a manifestare che qualcosa avrò capito. Nell’osservare l’attacco e lo sfondo; nell’aspettare l’alto a mezz’aria. Queste mani nel lancio del comprendere, nel tentativo immane di cogliere e sintetizzare.
Ci sarò, vedrai, a compierne il momento; vi aspetto, vedrete, tutti in adunata, a dare risposte sin ora intentate.
Clack, clack...poi clack. Così; per la vita.

1 Comments:

Anonymous Anonimo said...

C'è un amore profondo per l'origine da cui veniamo e verso cui andiamo
C'è una sfida che si svolge tra cielo acqua luce e rena
C'è una intensa indifferenza che permea le cose comuni e nello stesso tempo si involve in pathos interiore
C'è una composta riservata mimica di un dolore segreto
C'è il rigore di chi si lascia andare solo nel proprio intimo e
con la propria solitudine
C'è il richiamo verso un viaggio temuto eppur desiderato
C'è la forza di chi vuole volgere gli elementi del creato a proprio favore.

Per quanto oscuro negli intenti dell'autore, sono parole che danno spessore e valore anche alla pervicace e vigile ombra del proprio Sé.

6:55 PM  

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