sabato, settembre 16

Animo,
fuggi
dal corpo galeotto
di sbarre limacciose;
traccia valichi
e frontiere,
sottrai seguito
all’aspro ingurgito
di foglie secche
e terra di fiele.

Pensiero,
migra
fra flutti franti
di mare ignaro
ai piè di quel faro
dove ardono
canicole di parole
e spume d’acque.

Drenate
le torri infedeli
di fardelli verticali,
spioveranno all’unisono
corrispondenze.

Mai più alterchi.

venerdì, settembre 15

Ti scrivo, questa volta. Ho smarrito ogni numero dentro di me, tra cui riponevo con cura quello del tuo telefono. Per istinto ho frugato nella memoria, alla ricerca del quaderno dalla copertina arancione. Non l’ho trovato, così come sembra essersi eclissata la penna. Quella nera. Quella unica. Così rimane questa tastiera, in cui compongo gli ultimi alterchi di parole. Guarda le mani come sembrano dissociate; si muovono da sole, come se osservassero una coreografia estetica.

Quel giorno, riversi nelle ombre lunghe della quercia, mi hai chiesto come è possibile cambiare. Non ho parlato, né risposto in alcun modo. Ci ho pensato a lungo, però. Mutare è assistere al proprio funerale; per compiacere un evento fallace, destinato all’estinzione. Siamo il risultato di innumerevoli compromessi, espedienti per galleggiare e non soccombere. A tratti, nell’istante percepisco gli eccessi sotto i polpastrelli. Inibisco il mediare per lasciare intatta ogni mediazione.

Qualcuno dice che “dovrei”. Ascolto. Ordino le immagini nella loro cadenza originale. Infine proseguo nel viale incerto delle possibilità, caricando ogni corda al limite.
Questo è il giorno in cui ti ho cerco. Quello in cui conta più il tono, che le parole. Porremo ordine nei nostri movimenti, ed in ogni cosa. Tieni questa mano, però. Avverti questi cenni di pioggia, e attendi il folgore; poi urla con me verso il cielo. Fino a quando avremo voce, e ci saremo ancora.

domenica, settembre 10

Questa notte ho capito. Nelle calure degli scorsi meriggi, ti sono stato accanto. Non osando alcuna parola, sono divenuto figura discreta, assimilata allo sfondo. Negli sguardi ho colto sussulti e fremiti. Non ho posto resistenza alcuna ad ogni movimento; fino all’assopir dei sensi.

Non sono le coste, né il mare, a pittare d’euforia il nero dei tuoi occhi. I sorsi di libeccio pennellano appena le tue gote, dopo ore a respingere brezze. I sospiri cadenzano questo tempo, sino al ricamo di affanni ritmati. E’ il momento in cui la sabbia scompare nel ventre del mare, con gli spazi assottigliati a lanciare solo tinte dell’azzurro e circoli d’orizzonte.

Sono i fari che catturano la tua anima; bastioni isolati, tra spume d’acqua frizzante. Unici e solitari; come diversa e irripetibile sei tu. Ad ogni curva, nelle punte di questa terra, collezioni molteplici queste torri d’abisso. Singolare ogni faro nel periodo di luce; come i tuoi occhi, così la lanterna rotea e riflette, incantando pescatori all’ormeggio.

Pietre e balate diverse, vanesie su fondali di rene o di scogli. Nell’intercalare tra bianco e nero, e nel misto di queste tinte. Come le tue vesti; diverse tra loro, nel supporre nuovi approdi. Isolati da mura di flutti eterni, negli echi con le terre a fronte di cieli dispersi.

Ti immagini guardiana di questi luoghi; ad assistere al miracolo di fiabe, suoni, rimestio di gabbiani e ululati di venti. Sola nell’ergere delle profondità; in un altare dedicato agli dei, con lo strale teso contro ogni umana perfidia. Nell’immergere il tuo corpo nelle acque di cristallo, senza bisogno di parole.

Ti ho quasi persa; quando della mia voce hai colto solo l’evocare. Così tra acqua e sale ho trasformato il mio fare, per non dialogare tra faro e costa. Per diminuire le distanze, e divenire unico suono in un corpo esclusivo.

Non guardiamo dalla costa il mare, né ascoltiamo venti, né carpiamo orizzonti. Ora siamo acqua e mare, spuma e sale, aria e vento, luce e orizzonte. Ora siamo.

giovedì, settembre 7

''Bisogna andare oltre''. Così sovente qualcuno argomenta, da non so quale pulpito, vero o presunto che sia. In preda ad illuminazione fulminante, questi pronuncia frasi sonore e ammonenti; intercala concetti che non colti presuppongono il declino nel pantano mobile della volgarità. Cos’è ''l’oltre'', un luogo? Forse un tempo? O ancora, una singolare miscellanea di eventi contrapposti? Da oggi vado alla sua ricerca; è ufficiale, ora lo sapete, così non ci sarà alcun evento al raggiungimento dello status. Per ora, invece, non mi rimane che immaginare, quindi ipotizzare, con dovizia di particolari.

Se c’è ''l’oltre'', va da sé, ammettiamo anche l’esistenza di un ''prima'' e la presenza demarcatrice di un punto preciso. Bisogna, quindi, individuare quest’entità fittizia, che non possiamo chiamare né luogo né momento: l’abbiamo già detto, non ha le fattezze singolari dell’una o dell’altra entità. Forse ne costituisce una miscellanea. La questione non è da poco, visto che nessun cavaliere riuscirebbe a guidare alcun cavallo al salto senza la presenza dell’ostacolo, che separando il ''qua'' e il ''la'', si ponga a confine. Per questo qualcuno nelle corse al trotto è proposto alla disposizione dei paletti zebrati bianchi e rossi, osservando scrupolosamente le disposizioni di una commissione deliberante.

Qui la cosa è diversa, non ci sono enti e certificatori. Il ''salto'' è soggettivo, a volte inavvertibile; così ci si accorge solo dopo di avere superato il guado, oppure di essere rimasto al di qua della vallata, vinto, avvilito. Non c’è presenza alcuna, in questo intimo viaggio, che tenda l’indice, per indicare l’evento. Si è soli con se stessi, senza neanche la mente a pensare; come belve ferite che istintive cercano ripari tra arbusti, cielo e scuro. Qui non drenano parole, e non servono concetti e accezioni; ci si muove nel filo della razionalità atavica delle cose.

Per amor dell’inspiegabile, è così che certe cose accadono; senza regie e retaggi.

Così osservo le nubi, per carpire e lacerare la pellicola opaca che occlude il cielo. Così bramo ogni filo di luce d’ogni stella, così che, accendendo te, possa riporre vita in me. Come l’ombra che scura appare tanto più è intenso il raggio, per lo staglio netto dei confini; e invece è ventre che si nutre del bagliore, riflettendo quel po’ d’azzurro che tinteggia l’animo d’ogni Uomo.

martedì, settembre 5

Si vaga, e ci sono voci che avvertono, richiamano e impazzano. Si scava, si sprofonda e si pensa; si cercano i nessi e i perché, quindi appaiono le certezze, che poi scompaiono ai primi venti, alle prime brezze, come ceneri di tabacchi lasciati sui davanzali. Aumenta il silenzio e ci si sente persi, ma il vocio di fondo è solo chiacchiericcio, in cui il pensiero è d’uso avere la base. Si parte con le certezze, ma il gioco di questo mondo e a perderle, allora si intarsiano altri percorsi e ci si compiace dell’essere alternativi. L’essere, a questo mondo non transita per i sentieri del ritorno, ma risuona nei vicoli dell’irreversibile. I rifugi in notti turbini sono vaghi, dove sentieri paralleli si muovono in segmenti da sera a mattina con interruzioni circolari. Ci si allontana con la mente, ma c’è ancora uno squillo, una chiamata, qualche sussurro ed un vociare vago. Tutti conduciamo questa danza impari, impegnati senza remore nei nostri alterchi. In fila per dipanare sorrisi, e scagliare qualche parola; infine con il far di fioretto per scoccare certezze. C’è un inizio e c’è una fine, ed in mezzo un intera esistenza, in cui si corre, si va, si deve; poi ci si ferma in un punto sbattuto in faccia con solenne assestamento. Per questo non penso ad amici, ma di amici sto scrivendo; per questo non descrivo vene parentali, ma ne prendo il tono; per questo non v’è cenno di compiti e professioni, ma questa è la precisa descrizione del loro distacco.
L’altro dì, lo scivolare giallo di luci era in salita su lastre consumate di marmo, la direzione era illogica, e si rivolgeva al cielo. Ogni parete polverosa colorata ne conteneva i disequilibri, smorzando gli echi riflessi dai solchi lucidi; per curve e per ritorni, innalzando nell’attimo di un gradino la propensione allo scuro. Qui ho sostato con la mente; e l’urlo è argomento d’aria perso nel nulla recitante parti d’aria sospese. Così, come punti, in segnali dispersi disseminati peri il globo. Cerchi di corrispondenze sordidi, in armonia con l’universo; con il silenzio. Poi via senza retaggi, senza perché, nell’armonia vaga della brezza di notte.