mercoledì, novembre 24

Nella notte
si dilungano ombre
entro recipienti
di suoni ovattati
da pareti spugnose.

sabato, novembre 20

Nel buio ricordi; anzi, riverse nei quadrati spaiati di coperta, c’è una schiera di spalle magre cotonate che borbotta. Senza sigaretta alcuna, ma con il fumo tra le labbra, sorseggiano bagliori di luce proveniente in trasparenza da uno schermo vitreo. Con le ore che scorrono, sfregano le mani in movimenti circolari, ritrovando istanti di calore; osservano scuri angoli alti di parete in cui planò qualcosa; aprono botole scricchiolanti d’armadio, ansimanti per l’ultimo dei segreti ripiegato entro quattro pareti a ricoprire una lettera volata lontano.
Ti muovi; ma in vero, migrano attraverso le immagini, rivedono luoghi e rimestano sentimenti imprecisati nella mente. Parlano, e aizzano fiumi contro, scagliano esperienze e occasioni incolte.
Nell’ultimo pulpito incorniciano la postura, abbandonano il giovanile perdono per frasi sottili e radenti come luce del mattutino.

Mi implodono tutte dentro nella raccolta delle accuse evase di ogni giorno, per quella ragionevolezza mai carpita. Aliti grevi, facili al ripudio da cui fuggire ad occhi aperti verso la vita. Ansie rimaste latenti per gli anni che rimarranno, affiorate alla pelle come spilli sottopelle che diniegano l’appoggio consolatorio.



Quando incoscienti
usciamo dalle scure stanze
riscendiamo scalini
senza tregue nei rintocchi
sordi dei passi,
rigiriamo il circolo
con il grido in gola
che assorda la mente.

Uno in più,
solo questo
alla collezione di strati
presto levitanti d’oblio
e in agguato digrigna la sera
adagiando quella rugiada
stantia di brina e respiri.

Avanziamo distratti
entro riflessi filtrati
da tepori degni d’artifici;
scaliamo marce
per riprendere la corsa ceca
d’una vita da immaginare.

domenica, novembre 14

Scuro tra gli occhi al batter di palpebre, ridiscendo con i pensieri bendati di velluto tenue per attutire i rintocchi al sopravvenire dei ricordi. Solite ansie, frequenti pugni al ventre; tra me e il circolo immaginato di fumo dagli infiniti gorghi che scivolano nei polmoni. Buio; e mi calo incosciente senza alcun ardore d’osservare; a luci spente ansioso di soffiare nell’anima per scorgerne la frizzante carezza. Vocii, balli e banchetti; pochi ardori, svilenti. I sorrisi in cadenza tra gli ammiccamenti scritti dal solito Copione; e ognuno a trascrivere, senza anima alcuna. Gli intrecci e le passioni, le lacrime e le parole rarefatte già dalla mente, la noia assoluta per una luce scomparsa; memorie dello scarno racconto di momenti lontani. Dietro ogni porta, nelle fessure, tra i fruscii mi muovo; dissimulo far desto, presenza e assenso. Mi allontano prima d’arrivare, nelle calli impossibili da raggiungere e già votate altrove. Vedo, ridipingo e plasmo ogni viso in ciò che il cuor pavido vigliacco intriso di ruggine non ebbe il coraggio d’aleggiare. Isolato nell’isola, coltre di spifferi d’altrove verso la mia anima, proferisco scarne parole e incasso smorzati sorrisi e risa oltre i cantoni.
Non c’è posto ne alcuna speranza, incarno icone estinte ed immagini latenti. Cerco sintonie e caccio urla, sperse nella direzione delle mani. Veicolo altrove, nel verde svanito anteposto a filtro tra boschi silenti di lente movenze di fronde d’albero.
Oltre il calle discendo, buio di luce assente. All’infinito rivolgo flussi d’occhi. Ricurvo ripiego corpo e respiri. Un panno di luce pinto di croco, e s’apre il rimestar di foglie in danze di parnaso e fughe tra rincorse ed echeggi inavvertibili agli animi lontani. Appena un brivido d’effimera sembianza; lanciato tra nembi d’aria fresca che pregnano il corpo; nel respiro di tutto, per il sol giorno che m’è concesso.

domenica, novembre 7

Svicola impassibile; accosta gli occhi a ritmi vaghi, avanza per osservare i passi che non sente da quella volta che origliando si distrasse, sfinendo immagini e residui di pensiero. Uno, due, ancheggi dai madonnari al clown, sino agli archi che vibrano sui calzoni giallo opaco. E qui; un saltello, e lì, nei fiumi di pellicola inizi novecento che scorre a scatti comici. Dietro un baffetto che gongola su di un bastone in preda ad un trepidio d’asfalto; a braccio con la donna a tacchi dai balbettii di parole pregne mesciute a risa; nel dialogo asfittico dell’uomo del panciotto e l’oculare, sorridente, appena impastato di cartine e libri socchiusi. Note; sotto le panchine antiche di ghisa, rispolvera ansie tenui di degradi dall’effige dei sentimenti andati. Giacche di panno fitto, con la coltre di pelle d’elefante a deflettere fendenti, freddi di lame e vendette. Vive e rivive; rimpasta parole colte e rubate in righe di romanzi, sgocciolate dalle mani, e poi raccolte, respirate e svanite. Il mantello grigio di lana cotta; il passo sinistro più alto d’una spanna a spinger la spalla destra inclinandola per spiccioli di gradi. Una porta alta che appare sempre troppo sfocata con un disco bordato rosso al centro. Lame di luce, lance nelle gambe raggrinzite di jeans troppo lunghi, pronti alle stagioni rigide. Fronde di piante rigettate sui capelli incolti. Niente mani, divorate dalle tasche profonde che sprofondano nella anche.
Una sola parola a fuoco, e un leggero riso; sopravvive al rancore del Fato nel digrignare insistente dei passi.