lunedì, febbraio 28

Passi deboli puntati nelle frange delle sabbie, negli intrighi di galleggianti bruniti d’acque e sole. Poche rive di là delle fasce secche, solleticate appena a lambire da risacche frivole e ballerine. Giusto dietro i primi sciabordare di onde, oltre l’ala protetta dall’occhio della torre e dal braccio concavo del porto, lì l’isola s’intrufola a memoria e ricordi. Di mani cingo le ginocchia; abbasso il viso, ed ecco l’approdo di navigli furfanti. Incastri di battelli mitigati dalle arsure e dalle vane speranze. Ricettacolo di cannocchiali slanciati dall’orizzonte; scogli bianchi, brulli di piante secche, e lussureggianti di tesori nascosti, visibili alle bramosie. Pregna terra impazzita, slanciata al cielo da brume di fondali indagatori. Inno sibillino; periscopio d’un Dio bizzarro, attendista e sbirciatore dagli abissi. Culla d’amanti, esilio d’assassini e di briganti; rifugio di figuranti estatici dei primi archi di cielo. O solo terra disadorna e grama, dove l’orco scherno d’umano s’adagia al tempo d’osservare le storture ignare. Luce circolare, nel monito d’ancheggiare e cingere d’allarmi il Fato, sano del germe e dell’umano. Fragore lontano; l’alta marea schiude le bizzarrie di questo mediterraneo. Frastagliato scoglio d’ogni destino. Ti cerco; puntino plasmato d’un sogno lambito.

martedì, febbraio 22

Partenze di storie infinite, scali, approdi, mercanzie e chissà quali nodi da risanare nelle reti. Nelle vele riprodotte in scala, i segni inistenti tracciano i sudori e i rugori delle mani per le sciabolate di vento. Le funi pensule nello sciabordio verso lo scalmo di legno temprato da spume e sole, attendono, mitigate dalla salsedine, braccia e grida. Nel cesello della chiglia, i fondali riemergono nell'ansie inghiottite di oscurità d'ombre. Nodi, a tendere dialetti d'ogni ricordo, tra sartie dal maestro a prora, e dai minori a sperder ovunque. Tempeste, pittate nello sguardo e riverse entro argini di cornici in faggio. Bastimenti collassati in fauci d'oceano; ritornati nelle derive della memoria; fastosi componimenti di mani.
In quei cantieri minimi, tra gli olii e i pennelli intinti e rappresi, scorsi i primi crepitti dell'uomo vagante. Mai pago della postura severa, e dell'incurvare un tratto labile di gote, nel sogno desto risuoleva navigare in viaggi sfiniti. Pochi attimi nell'inquieto far di nostromo, alcun cenno e varriante, all'apparire d'un passo irruente. Incurante; una mano sul mio bigio cocuzzo di silenzi, e si svaniva lesti. Viaggi assieme, solitari tra ricerche disarticolate di parole scarne e collimanti. Terre impossibili, oltre l'ultimo degli oceani, con bombette tra le mani, e minuterie astruse nella goffagine delle tasche tra le dita. Ricerche di simiglianze tra gli umani, corrispondenze di inclinazioni d'ardito sentire. Giorni, e anni, sacrificati all'inno di carezze inpronunciate. Traversamenti perpetui; traversie sovrumane in traccie di sguardi ignari e felici. Nella mano d'abbandono; protetto fortilizio; s'aprivano visioni e intagli di pitture pungenti. Il mugulare di gente, risegnava l'approdo, fra bottini di visibilio e lembi sconosciuti. Uno sguardo v'è naufrago, e il braccio del soffrire d'amore, per un filo dalle acque mai scisso.

domenica, febbraio 20

I volti acredine che nel far delle movenze voluttuose m'osservano, intersecano interrogativi gli intendimenti. D'alambicco sperdo l'indole di tane, adagiando cimieri su fonemi inconsulti; specchi speculari contrapposti in sorseggi di sorrisi sviliti. Rivivo, dissimulo e sperdo nel far di mani per le remote apparenze e il distoglier di fumi e nebbie. Cultore, parlo e ricalcolo; carezzo sillabe timide di parole, osservando altrove anche nell'attimo che v'è dopo. Discorde, intono allucinazioni nelle quinte dell'insinuazione; sogno assenze di vuoti in spazi nulli. Nell'alterco con l'essere, stillo anima e pensiero, nell'attesa dell'attendere del fremito del trovare.

venerdì, febbraio 18

Sensazioni ai bordi di feste inquiete, in rimandi di sorrisi nervosi propagati nei corridoi. Predellini frenetici di rincorse in saltelli dalle banchine. Rincorse contro mete d'armonie sfuggenti, in alterchi tra il proferire e le movenze. Risa inutili tra le porte lungo strisce sui mattoni a scacchi. Indici contro, nello scarseggiar delle lacrime o nel più fausto degli eventi; soggiaciuti disillesi nei rifuggi e nei lamenti della mente. Parole interrogative, sguardi ignari; l'inveire contro la compostezza di smanie d'essere.
In stanze remote, arginare l'altrui; rimestare nel melanconico e curarsi in piccoli sorsi di squarci oltre finestre. L'essere altrove, in guardia e difesa; l'accennare un sorriso nei patos fuori tempo. Sopravvivere di giorni uguali alla ricerca di grafismi d'aria, e luci vaghe ascendenti. dialoghi improbabili; rarefatti dal novero futile delle affinità impossibili. Ricerche indefinite di lamenti in fondo all'animo. L'attendere e il trasognare, lambire e ricadere nel vacante pozzo sconnesso di stelle. Vuoti; lente ferite nel disperder solingo in preda a voragini inarginabili.
Sguardi; più remoti d'ogni attimo a precedere. Volti; bianchi di grigiore e di vocii rimesti nelle maree deli rumori.

martedì, febbraio 15

Negli echi della mente risuonano sorrisi; sfibrando, esili, le parole. Luoghi remoti; sogni che stridono nella melma del reale, dispersi nelle paludi irrisolute di sguardi futili. Eppure ridiscendono memorie; profumi di cortili d'arancio; tra quelle rene ocra lussuriose di senno. Tinte improbabili, evaporate da immagini e voccii sussurrati fra veli e folate d'aria. Piccole proiezioni dai fori di finestre verso cortili e strade; viaggi desti d'occhi in sfrecciare d'asfalto.
Sopore sapor d'incantesimo, in meriggi di sol leone, dove amara di gioia una lacrima fertile d'acqa in lievi passi d'incantesimo si scioglieva nel mare.

lunedì, febbraio 14

In mensole brune i mie libri, tesori tra le parole. Carta osservata dai polpastrelli, pesi che scoprono storie lunghe anni. Apro preoccupato da ciò che può apparire dentro i fragori di copertine colorate. Interrogo righe imitando ceselli e simboli, intono nella mente i suoni sorseggiando le anime sparse. Cuori e visioni estreme, nei fumi della scompostezza geniale di spirito. Volti con barbe mal curate, e gote fresche trasognate nei rossori dei calori di stufe alle spalle. Autori e nomignoli soli, svaniti dietro scrivanie radenti il mare puro di visioni e immaginazioni al di là di ogni umano portamento. E piccolo e incolume mi muovo su e giù dal giallore e muffe, anelo teorie e ricompongo trame inesatte. Lettere lasciate appena rumor di vista; albatri adorni su listelli di legno; battelli ebbri d’arsura d’amare; stelle disuguali a carpire il destino dell’umano sentire. Polveri sottili, bufere di rene, frammenti brucianti negli occhi sbarrati da inedie strabordandi d’ansie e passioni represse. Mari sulle acque nell’impasto di cieli; richiami sussurrati di tinte color vinaccia; listelli di raggi dal sole su di me incurante intento e smarrito all’osservare.

domenica, febbraio 13

Soli
con se stessi,
omessi,
in distese
di suoni dismessi.

Morire
di pensieri
nel rimare
fughe
verso il mare.

Disosservare
gente triste
sfiorare
fianchi di paure
e crepitare nel niente.

sabato, febbraio 12

Nota del mio tono velata dal mestare di fondo, batto un tempo fondamento d’argine nella mente scevro di corrispondenze. Spero nell’oggi, e nel rigo attendo contraendo disarmonie d’ansie. Compagno di levate in fraseggi nani, e di sguardi tra occhi estremi di moti a pendolo, sfogo suoni gutturali in gravità di melme mobili. Ci sentiamo tra circoli di faggio, osservando altrove, oltre ogni movenza. Paralleli proseguiamo per lunghi tratti, sfiorandoci su strade desuete di corsie opposte. Intono; struggo moti frizzantini consumandone anzitempo le spume tra falangi di dita ignare. Avverto quella gravità fitta nel ventre che non rilascia scrittura e respiri. Rischi; accorsi ad onor di vita, tra noveri e rammenti di soventi cadute.

venerdì, febbraio 11

Scrivo dei tuoi color ciliegia, pennellati come esposizione di frutta di stagione, guardo e afferro i lineamenti scolpiti dagli anni. Mutismi di occhi gelidi, colorati sotto l’azione radente del pennello in ripresa circolare. Manti di metalli cesellati ricurvi sulle spalle; fieri elmetti con pennacchi al vento, pur privi di brezze del calar della sera. Tavoli e troni disseminati per i circoli interni, a far folclore; dai baffi, all’accento mancato di marionetta, mentore di segreti raggranellati dai sussurri degli avi. Cartelli pinti a fuoco, piegati in riquadri paralleli, nell’unione di tenzoni avversarie. Parole lise dallo sfrigolio delle dita nel biancore di banchine rinvigorite dal danzare dei mocciosi. Ovvietà da schivare; e scoprire memorie siciliane migrate nelle terre gemelle mai uguali. Botteghe del tramando e dell’affare, dove piccoli ignari incarnano l’esatta linfa opportuna all’ignoro. Appiccicori di case opulente di gialle luminescenze, nel calar di sampietrini ed echeggi di rumorii. Melodie di culle sonore, nel ricordo di sensazioni che mi allontanano più spanne fuor di rimedi e appelli.

giovedì, febbraio 10

Ultimi venti nel tango della veste scura, sinuosa sino alle caviglie.
D’organza lenisci il tuo corpo lisciando i biancori in immagini di ragazza. Bagliori in lontananza, di scarpe con sfumature mitigate dalle ondulazioni della pelle. Ori appena pendenti, spersi in alcuni giri di collo, nei tepori di ciprie e nel far di cigno. Profumi asciutti, decisi nell’esaltare profondo, profusi come vergar di firma. Rotei su te stessa, dissimulando i cenci e dispensando sorrisi alla schiera d’usuali spettatori, attorniati per la visione dello spettacolo nel sole d’ogni mattino. Parole incatenate in movenze, scarne lacrime inghiottite nella confusione di ricordi. Felici canzoni intonate nell’assoluto senso della musica. Sentimenti falcidiati da figure ombra di progenie rilasciata dietro angoli angusti. Sorridi e danzi e mi osservi, dai vita allo spettacolo e aspetti l’assenso. Chiami in sostegno cori di figure umane, bramando frasi e sussurri. Mano nella mano, giù per i viali nei vocii di primavera.

mercoledì, febbraio 9

Mura striate da effetti geometrici imprecisi, innalzati oltre la visuale d’uomo su scarpe e tacco rialzato. Spazio misterioso sbordante nei pilastri d’un quartiere, dove crescono spontanei negli anni grandi alberi che mitigano giardini inquieti. Urli corti imbastiti in rombi di motoape per gli asfalti lucidi, levigati dalle dimenticanze. Pareti affisse dietro lettere inconsulte vergate di verde e d’ombreggi di piante ridondandi di rivoli di foglie. Spranghe, su cancelli possenti in battute di ferro, stramazzati ai fianchi insaldi aperti agli equivoci effluvi.

Pochi passi e c’è l’Avvocato a sorprendere, in un pronunciato diritto finemente arcaico per compostezza ed estrema formalità. Passi lenti, d’autorità, ritmati da lembi di calzoni riversi più volte sugli orli, impastati da una giacca alterna all’andazzo svicolato da un lato. Tratta, esprime concetti riverberando sorsi d’aria, annoverando esigenze per se e la intrisa comunità; da qui l’autorità costituita. Passando, al novero del supero d’esame, riscuote schiudendo le riserve ai lati di tasche e svanisce in diagonale alla porta legnosa in divieto.
E’ domenica; nel set spontaneo comparsa Pietro, che non chiede sillabando e articola suoni gutturali precisi, incisi in cartine sbiadite disegnate in aria e rinvigorite con cenni tra dita avvizzite. Abbassa la divisa di giacca grigia e polvere bianca di camicia, collimando coppola e abbaglio sulla visiera esposta a levante. Irrigidisce le meningi e rilassa le gote, dispensando sguardi da duro che le labbra con il rugore del cuoio e inclinazione del capo tradiscono, in ammiccanti simpatie da vecchio.
Riverso tra le sbarre lui che dimentico, e che chiamerò Dimentico, si protegge dagli sguardi doppi d’obbiettivi in finte polveri preziosi di cristalli incrinati su carte patinate di macinii e rotocalchi. Spazio arginato, tra Dimentico e i giardini; i vicoli, i vocii e i frementi dei tempi vuoti d’incursore. Più lo cerchi e più svanisce entro alambicchi del tempo, difendendo viste d’urla strenui in fondi bianco-ingialliti di letti piantati alle mattonelle che in sorte ne ebbero il nome. Dissimulando, mentendo, muovendo braccia in rotei comuni d’aquile piumate, lui s’incanta e osserva a un palmo, dove il mondo recita cade prigioniero d’una guerra impari alla condanna memore; lui Dimentico.

Immerso nei lungoscivoli di centinaia di numeri sconnessi, aleggiati su carrelli scrostati di ruggini porpora. Binari su cui incanalare sguardi e perdere facoltà, viaggi lungo cantine e fornaci pullulanti di vite in affitto. Vetrate spaccate, soffermate ad osservare i cocci lungo piastrelle sorridenti di riflessi. Facce sconvolte, su visi ignari, assieme al raddoppio d’occhi, in anni lunghi di disfacimento. Sorrisi e parole tonanti. Mani a lisciare pagine di libri riversi sotto le finestre, ad ingoiare ricordi di archibugi incentrati in lancette e luci fulminanti. Camici bianchi in bottoni tirati all’ingrasso dei ventri in chiome dall’effluvio sinuoso in pelle oliva di tintura.

In fondo il passaggio al Pindemonte è stato il tempo d’un brivido trasognato, che le mie immagini rilasciano alla schiena per ogni ritorno di supponenza.

martedì, febbraio 8

Dissolviti ombra;
quest’istante acre
spiove parco di caligine
in lumi lame di cenacolo
che l’anima, ignara
attende.
Chiosa rigo
il mesto rito
di lambire svanendo,
ulula al levante
lamenti di cantiche invane.

Poeti
alzate fil d’amaro
in bettole di parnaso
difette al proferire
dove scevro il verbo sottende.
Se sguarnito
l’impeto ho immolato
è culto
ed emozione mortale.

Occhi neri
nel vagore
del tono che atterra
fra campi degli invisi uguali;
ombre ch'amo
nel fragore tonfo
del volo ch'atterra.

lunedì, febbraio 7

Passeggiare contro il rosso di quelle cupole, poi distrarre lo sguardo inclinato dal pensiero e rarefatto dallo scirocco. Ricerca di un posto tra i perché nella mente; a destra, giù un fondo, e un sibillino interrogativo appena manifesto. Alcuni passi in circolo per i cortili, dietro sbarre su cui si intravedono piloni color della castagna, dove qualcosa è avvenuto. Si rimane un attimo interdetti prima di sorseggiare il ritmo e l’enfasi. Così si assorbe tutto a Palermo; spazi, interstizi, tradizioni nel sangue ancor prima che storia o architettura. Bastioni, altari, porte e balate; fredde balaustre lisce e bianche, come le anime inquiete che drenano nei rivoli sotto i vicoli del Cassaro. Tremanti e insolventi, gli insavi, nel Corso che ridiscende all’insaputa, per quella Cala che raccoglie gli umori tetri degli intenti cupi. V’ho sperso effluvi salini, tra quei rosoni gialli d’inedia, gridando entro i respiri nei cori di altari grezzi rivestiti di mattoni frastagliati. Del puzzo pregnante dei cortili dimessi, saturi come cloache a ciel aperto, ho amato gli splendori d’un tempo, come dei mercati il vociare in stile di musiche sinuose misto ad arsure arabe.
Così ho nelle falde un marchio a fuoco, emblema controverso d’una appartenenza che pulsa nelle vene; stupito, offeso a morte, ma con l’orgoglio dell’immane urlo contro il cielo.
Ovunque sia.

domenica, febbraio 6

Sarebbe facile la strada, lo so; genuflettere quel po’, che basta, lo sguardo. Respirar di fiele, dissimulare brividi di ragione disciolti tra i pugni delle mani. Un po’ di tutto a sottrarre, però. Rido. Questa la mia cura di stecca nel coro, di contrappunto dissonante quando la norma è cielo che opprime. Rido, tra gorghi di acquitrini dagli occhi; vetrini con cui osservare colori invisibili dispersi tra i soffi d’aria. Costretto alle briglie, alle normalità del corpo e dell’io evidente, spiovo verso ambiti lontani protetti e sconosciuti. I perché, le ardenti domande, l’indice contro l’incapacità di adeguarmi. Ore che si consumano nelle spiagge d’estate per i propositi d’inverno, o tra i fuochi dell’imbrunire su tensioni di silenzi troppo lunghi. Rido ancora, ferito ma indenne, nell’attesa di qualcosa che sorga oltre quest’arco grigio d’atmosfera. Oltre non sarò costretto a ridere; rivolto all’alto lo farò nel silenzio, e solo se lo vorrò.

venerdì, febbraio 4

Cortili tinti di scuro della notte; ombre che si intersicano e danzano nelle assenze di luci. Rivoli di foglie lievemente piegate ad osservare il cielo, timorose dei riverberi quando l’aria ulula trapassando i rami. Terriccio umido, fiero d’effondere l’umore fertile dell’acqua. Passi spersi, privi di domande tra sentieri di ciottoli casuali fermi all’attesa del calpestio. Il rimestio sorprende le parole e null’altro si intona al nero corvino del sottofondo dell’animo. Greve il coperchio schiaccia l’inutile pensiero, e la disperazione opprime financo l’insano senso d’inquietudine, attendo allora in un sol di nota un accordo spiovente dal cielo. Alieno aleggio in polveri di rena, ghignando del deriso carceriere labile di miraggi. Invoco ricordi e sentimenti contro futilità e assenza, perfida pelle dei miei estinti delatori.

mercoledì, febbraio 2

Automa; agisco, interagisco, muovo gli arti, avanzo e produco. Il corpo è coordinato dalla mente razionale che lo muove e lo gestisce, secondo programma. Alieno, io, abito altrove; in quella parte immaginaria costruita lungo l'argine degli anni. Eventi, persone, luoghi e situazioni; tutto succede ha una logica irrazionale e avanza in una lenta e imprecisa costruzione. Così mi si vede, ma è come leggermi addosso il cartellino "torno subito", nel mio evanescente senso del tempo. Vivo meglio lì; o, meglio, vivo lì; nel connubio di parole sparse private d'oblio che riecheggiano ai bordi di ogni tempio. Ricordi, persone; ma più spesso intavolo scambi e ricami d'alterchi; imbastisco poi coinvolgenti sfide con figure approssimate e sfuggevoli nell'animo. Immagini d'acqua concentriche, parole sibilline, sculture d'aria, luci che immaginano colori; perso tra i fraseggi, a volte sento il richiamo del reale - che strano luogo inimmaginabile - che insiste nel fare fastidioso di zanzara.
La porta è aperta, a chi intende.