mercoledì, gennaio 26

Questo tempo per pensare è un allucinogeno; si insinua attraverso le nari e pregna la mente dissociando il reale già svilito in una moltitudine di supposizioni. L’ondeggiare delle sensazioni trasporta il corpo altrove rispetto alla mente. Angoli angusti, all’imbrunirei di coltri di luci sperse. Inizi, appigli e fine; solo argomenti e concetti nel perpetuo torpore. Mi sveglio; risveglio, desto. Ma incubo in quale incubo?
Isolato nell'isola; la condizione che mi attraversa da sempre. Da quando nell'isola, quella vera, ancora ci abitavo; la Sicilia. Anni quelli - e scrivo degli ottanta e i dolorosi novanta - di angosce profonde, di ansia di vivere e di speranze tradite. Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Libero Grassi; ma anche una miriade di altri volti che sfrecciano nelle mie visioni immaginarie, come titoli di coda. Isolato comunque e sempre, anche ora che vivo nel Veneto. Per le mie idee, per quell'essere sempre un po' diverso e forse inafferrabile. Isolato ancora una volta, perchè nella comunità blog sono una parentesi senza rilievo; scrittore, quindi, privo di titolo e riconoscimento. Vorrei vergare centinaia di righe affinchè l'ingorgo del mio animo possa trovare un punto di comunicazione. Vorrei cesellare parole ogni giorno, ogni ora, senza relegare l'amara e inproduttiva passione - agli occhi invisi - negli spiccioli di minuto. Per ora dreno l'impeto lasciandolo gorgogliare in un angolo della mia mente precisa e razionale da perito tecnico. Speranze tradite, appunto, come quegli anni novanta che mi hanno indelebilmente segnato sulla pelle.

lunedì, gennaio 24

Il silenzio è insopportabile; intravedo orli da cui sbordano bianchi inutili. Nella scura fibra del tuo mantello ho perso l'anima; in naufragi lontani di batter di ciglia. Il tempo però, lui, mi ha preparato, adornandomi le mani di una pelle secca e spessa. Gli occhi vividi di notte, languidi di pensieri gallegianti e privi di boe, si sono plasmati in quest'assenza densa. Questa luce ora mi atterrisce; nell'infinito senza senso, apre le braccia da cui non si intravede una fine. Dico a te, e lo ricordo, gigante tra nani, in viaggio perpetuo di fini valori, costretto al vociare infido delle beghe. Te, che un braccio cingeva un intero confine; composto, e posto all'innalzo di mura future. Ma anche te, veste nera, invoco in questo lamento insensato; memore delle lacrime che ho bevuto negli effluvi in cui ho carpito l'umano. E lui, dalla risata ironica sino alla corrosione di quell'altro universo; che osserva, razionalizza e s'infervora. Mille altri ancora, carpiti da scarne riga ingiallite al tocco delle dita. Parole su parole, frasi e versi; immagini. Calore ed energia di cui ora mi intingo, battendo le mani sostenute da braccia alte e flesse. Ascolto; impavido e irriducibile. Osservo irriverente ciò che labile mi scivola addosso, modellando cuoio sui solchi della mia pelle.

sabato, gennaio 1

Un sogno proviene dalle tende poste dietro la memoria; un incubo si muove silente attorcigliato nei retaggi lungo gli anni. Acque si sfaldano dai costoni ed investono le terre svilite dal cielo opaco. Nella spuma e nell’agitazione non c’è vita ad emerge, solo listelli di tempo per fuggire. Il sole è ritratto, le espressioni mutano sul giallo terso; il tappeto delle infanzie prive di pensiero si contamina di gocce di vita violenta. O tracce di fine assoluta, dove preposto all’oblio v’è il tutto raccolto nello stillato di sentimento. Fuga con alle spalle l’onda, senza salvezza ne remissione, privati d’un lembo caldo, come anche della freddura dei gorghi. La base, la tranquillità, si ribella con il piede del contrappasso all’insolenza; o forse è il velo sacrificato all’innocenza.
Poco più in la c’è una terra sprofondata a strapiombo, rette stanze prive d’aria, fughe e finestre. Estremi che lambiscono l’impotenza apostrofando l’estrema presunzione del genere umano; irto a giudice delle imponderabili sequenze. Reo d’aver creato il fallace tempo e d’aver ricamato emisferi ove in vero può solo l’Eterno.