domenica, settembre 18

Quali sono i ricorsi di lor Signori? Dovremmo forse attraversare, rossa di sangue e bianca d’assenza, l’alabarda volta sul crine? Giù nel cortile, alla fine del declivio, v’è il principio delle vie crucis; animo vago e ragione spuria, spingono il conforto altrove. Si arranca con fatica priva di mezzi, simulando passi probi dove volteggiano libecci d’infertilità. Muro che s’innalza, mura che protendono; l’isola relegata è l’Itaca della condizione, protezione dei mali che rivendichiamo nell’assurdo e prezioso congeliamo in un alito tra le mani.
Solcare, offrire il petto all’infamia, stoici di sguardi? Perché? Ci venga rivelato, se questo ci offrite in sorte; che si appresti nelle menti il seme della sciagura. Foglie di tabacco arrotolate ed indurite a tronchetto; masticate e rimestate, ci rendono diversi; acri come l’assenza e pungenti come il tracciato da punta d’indice. Non v’è forza nel vostro percorso del tempo; ignavia dell’assenza e oblio di sentimenti.
Quelle barre terse, sono il limite ricacciato fuori dall’umano; sfioriamo i lembi per conoscerne i confini, degustando ad ogni istante succhi di varie essenze. Amiamo rapinare l’aria con le mani tratte; armate di fendente per sottrarre a questa luce l’ultima delle linfe, che è aspra e poi dolce nell’apparir di fiele. In ogni momento non vediamo il dopo, e osiamo sbirciare nell’istante in cui tutto accade. Ansiosi e smaniosi, ci sporgiamo dai dirupi più affascinanti; gustiamo l’attimo fatto di spazi, da cima a fondo ed in profondità; irridiamo un tempo inesistente.
Brilliamo, oggi, e schizziamo pensieri; nell’attimo non recludiamo l’anima, dove stilla ragione e sentimento; e nulla più.

mercoledì, settembre 14

Mosse le mani a segnare nel vuoto, senza luci, senza suoni. Incroci nell’aria, dove riporre ricordi; caselle immaginarie, precise ed invisibili, con portelle d’avorio intarsiate dalla vaghezza del tempo. Parole pronunciate verso lo specchio, contenitore di confessioni e facce distorte d’ogni mattina. Non c’è luogo in questo rito del volgere; maestrie tra dita affini al passato: mirino ed ogiva del vociare dimesso d’interesse.
In quest’arco adunco di postura flessa, ci sono trame disattese, istanti di baleno lisi e cenere di lapilli. Tempi d’ungere di braccia in paste di crete; risa d’occhi negli sguardi tra le volte; passi in fila in tonfi sordi di pietra.
Costruisci, vedi, e ci rivedi; accosti usci di confessionale, vivendo il presente d’un tempo privo d’albeggiare. Incarni il tuo ruolo e demandi al consueto fioco ridondante; così il calar dai viali, il muovere e fraseggiare. Tra te verseggi di memorie, con stremi d’illusione drogata con filtri opachi d’alto grado. E l’altrui amore; il sentimento scosceso; l’orgoglio tradito; la foga d’uomo.
Lasci a pochi passi, tutto; fasti di feste distanti in vuoti d’aria; sorseggi d’attimo per sfinire membra in precipitii orizzontali di vanghe sulla pelle.
Bardato d’allegro, sorridi con l’inflessione del labbro inferiore, negli echi dello specchio. Nicchi e t’osservi. E’ Domenica, accendi la gauloises e dirigi la lama verso l’alto; l’allume è a portata di mano, senza osservare e rimestare. Fischietti il motivo normale.
Giallo da naso ad occhi, tra specchio e viso; smoke tra orecchie e capelli, nella bocca e nella gola, giù per i polmoni. Tosse a colpetti tra cenni di parole; risa ancora in riviere. Richiami ai sogni infranti, solo cenni, da pasteggiare tra sussurri, nicotina e taglietti in rivoli di lama.
Poi basta, solo segni da collezionare.