domenica, ottobre 31

Osservando l’iride dei tuoi occhi ho sfocato ogni immagine; mi sono scorto sospeso, avvolto nelle pieghe di seta che appaiono i flutti di un mare ebro. Polverizzati i sospiri, ci siamo nutriti della stessa aria, confinando all’oblio il mondo figlio dell’acerrimo destino. Ci siamo sfiorati l’anima più volte, e ad ogni tocco abbiamo nutrito l’ardore, sino a consumare con lo sfregare di mani ogni coltre pavida che ci divideva.
Piccoli suoni, appena accennati, pensieri captati; abbiamo vissuto in uno scivolo di minuti ciò che a volte l’anima anela in una vita, senza scorgere nemmeno il volgere d’una foglia. Parole intarsiate, levigate finemente con il cesello che l’ansia ci lasciava sgorgare. Fraseggi, ai più invisi, ad alimentare il nostro dissenso per la gelida nebbia che adorna l’uomo; tenui, accentuati, a volte, scagliati verso quel cosmo che ci apparve il nostro sito.Formulo, conservo, congelo e custodisco ogni parola; prezioso gioiello che lustro ad ogni volgere del dì. In letargo per l’inverno in corso, abbiamo adagiato lo sfavillare e l’essenze sotto un manto di neve cristallina. Aspetto, però, paziente orologiaio, che i minuscoli meccanismi riaccendano il moto, scandendo ancora il tempo della sintonia assoluta; oltre tempo.

sabato, ottobre 30

Chiudi gli occhi, lasciati vincere dal fremito che ascende tenendomi in apnea per imprecisi istanti. Lasciati trasportare dal dall’umido calore della mia mano, senza apporre coniugazione e aggettivo. Sperdi il pensiero, abbandonati alla memoria in cui riecheggiano ancora quei risi tra fruscii d’acque e vocii appannati dagli anni e dalle vetrate opache delle porte. Visi e parole, e movenze che scorro tra il frullar di vesti color vinaccia a fiori, odori rinsecchiti dallo scirocco penetrato tra i bastioni di faggio delle tavole da pranzo.
Le prime lettere - ricordi? - quelle vergate tra lenti sospiri nel sotto scala pregno di umori umidi. Parole dissonanti, nati da sospiri mal trattenuti, e occhi levati oltre il più alto campanile, nel sito dei sogni in divenire. Il mio pianto che affiorava dalle ombre delle notte che sconoscevo, e liti intessute nelle tenzoni di vita, di quella anima che raccoglievi esponendola al sole, proteggendola con inni d’alterigia come monito scagliato contro il cielo.
Ascoltami in questa voce fioca, pronta a svanire come ora l’effimero e poi il resto, tra le quattro colonne che si ripiegheranno rilasciando oltre la polvere quest’ansia di passione. Non parliamo per un istante, sospendiamo lì fermi nell’abisso ogni cosa; scrutiamoci negli occhi corvini che ci accomunano, vibrando d’impeto, melanconia e deflagrante sentimento.

domenica, ottobre 24

Voci dal nulla. Gorghi di parole che spiovono; osservo attorno, rimbocco maniche di mani che innalzo alla nuca. Piego il collo come si flette l’arco un attimo prima di scagliare il dardo. Così entro nel mio spazio, sfaldando gli squarci minacciosi che rivestono le pareti di ogni angolo perso nel crogiolo di parole, oltre ogni asfalto, assopito e ridondante nei pensieri spersi della mente. Pescatore indomito di telline, setaccio ogni fondale, e tra questi le fanghiglie infauste alla ricerca di residui lisi di sentimenti. Rovisto tra rattoppi di maglie infeltrite, osservo tra buchi e trame assorbendo ogni battere di sentimento e calore.

Ti muovi a piccoli passi, osservi attraverso vetrine le tue guance senza più colore. Mi tieni legato ai calzoni con una mano stretta di dita ossute e fredde. Respiri tra le banchine e le strisce disposte come legni di binari esuli. Sussulti la notte, ma sarà stato il vento a battere contro le finestre, a oltrepassare gli spiragli per brinare oltre le fessure ed entro ogni incubo che nella notte è sempre più vita. Nei silenzi avvolgi quelle lunghe parole che scivolavano semplici dopo giorni di intenso fragore di mente. In un semaforo hai deposto la tua quiete, nel rombo sconosciuto di motori.

Osserva e ghigna. Occhi bianchi di voglie represse negli anni degli ardori di tutti. Il mantello nero olezzo a svolazzare perfido ad ogni folata d’aria. Trama lapilli d’oblio, coniugando ogni smarrimento con le tue sordide attese distratte. E il tempo passa e lui si nasconde oltre le pieghe delle lenzuola che disadornano il letto foderato di odori estranei. A testa in giù, infiltrato nelle auree e negli impeti che tornano come lampeggi di fari nelle sere oscure. Di fronte, lo vedi, avanzare spavaldo con o senza fondina adorna, perché la scena ed il film è già nei nostri occhi.

Làva
scivoli sulla pelle,
ma inghiotto il magma
e assopisco il lamento;
scagliando l’urlo
adorno le sventure
tue eterne moventi.

Colmo e svanito
senza lacrime e affanni,
ponte di una voce
verbo tra uomini
e cosmo, contro,
intesso parole
da me
verso te.

domenica, ottobre 3

Eventi scivolano, e non si intravedono le origini. Vite si intrecciano e non conosciamo il fine, e se ce ne sia uno. Canali scomposti di acque in piena attraversano le nostre sensazioni, e non ridonano sollievo ma avvampano la mente solleticando l’anima. Siamo attori di una assurda commedia, la stessa che mi vede interprete riconosciuto di una estrema razionalità. Mi sorprendo a volte, porgo sillabe e parole ad avventori sconosciuti, ad esplorare sorrisi caduchi e batter di palpebre finte. Sbircio il mio viso dall’alto, alienato dal mio corpo; e da dentro mi osservo alzando ipoteticamente il mento. Me contro me stesso, e al centro gli altri; di cui oramai conosco ipocrisie e testualità prive di senso. Vivo la mia vita, quindi, comandando le membra dentro pareti e scrivanie di uffici bianchi di luci al neon prive di colore. E voglio sopravvivere, e cerco una strada per non soccombere, mi agito, mi risveglio dal sonno, e voglio ripiombare nel sogno. Grande sito il sogno; entro alla notte, e di giorno, con una lacrima acida nelle pareti del viso e con un sorriso da rivolgere a qualcuno in attesa. Il Fato e il Destino, poi, dadi caduchi da cui trarre idee. Una volte calava il timore del cielo e di un dito spiovente, ora no, non più. Libero d’ogni male e dal recinto con cui pingiamo l’essenza. Se anche esistesse un disegno superiore, e io fatuo uomo mortale non ne fossi a conoscenza, l’avrei già sconfitto per il solo volere avverso. Irridente, con le mani al cielo, tra i vicoli, all’epico scontro potrei soccombere, e da uomo lo farò, ma a sguardo basso e sottomesso.

sabato, ottobre 2

Limpido questo pensiero. Circola, si crogiola, varia il moto invadendo la mente; evapora infine, come quella goccia d’acqua incredula ai primi tepori della primavera. Sopravvive arcigno alle insidie del corpo, ai rantoli frenetici ai fianchi di scrivanie pallide opulente di cancellerie. Questa voce fuori campo proviene dall’assurdo a perdita di vista, incrocia discorsi tra sguardi e gli specchi a fronte. Sbircia la salvezza tra se e se, nell’attesa sfinente di un astro stellare lontano, oltre l’angolo.
Anime tra le mani in toni mescoli, torbidi sensi che s’immergono nei meandri. Nel retro di ogni pagina trapela una luce sfoderata, disegnata ai bordi del foglio. Si pone il capo e ci si perde nell’impegno di costruire una nuova memoria affrancata dal turpe; libera come un passo di danza nell’intima penombra.

Senti la mia mano, e riponi tutta l’aria che hai dentro. Nessuno che osserva, punta il dito e aggrotta il ciglio. Siamo nell’aria, e non c’è giorno perché è svanito anche lo scuro. Riversi nello sguardo, nello spumeggiare del battello del nostro ebro pensiero, appaiamo anime in coro nel duetto che non proviene e che non ha fine. Leggi, fisica e cabala, sono facce di dadi truccati che scagliamo contro la realtà; nostra apparenza.