domenica, febbraio 29

C’era qualcosa in ogni passo, la sera qualcosa accadeva nella mente già in viaggio. Alla ricerca di qualcosa, con un’idea, un colore vago; sensazioni o forme inesatte. Il calar della sera istruiva propositi che l’alba puntuale attuava. Per le strade accese dalla notte e pacate dal sonno, per semafori gialli e lampeggianti, corse in auto sorprese, ignare di mete scolpite. A volte il mare, forse un albero, un palo; altre una briciola, della sabbia, un richiamo. Chissà cosa ci accende; è costantemente cangiante, come le ore, o gli spazi. Schiamazzi, vocii assordanti, e ricerco la quiete; nello scorrere dei palpiti d’aria sull’erba scomposta, ma incline, come vorrei essere mansueto. C’è un perché, come in ogni cosa, o forse no, come in ogni verità equivoca. Da allora navigo, e cerco, e m’abbandono; d’allora ‘’era’’, il passato composto che torna ad aliti; emergo al presente rivolto alla balaustra fredda di ogni finestra esistente. C’è una musica, un rigo; portavo tutto dentro; il presente non collima, rarefatto, assente. Tutto di cui sono traccia ha provato l’elisione, e rinasco forte, privo delle mie dee illusioni, sorpasso linea e galleggiamento. Intriso di fumi batto tasti di cui non ho ricordo; in ‘’do’’ non c’è senso, come in rigo e riquadro; tutto ciò che non trovai ora sussurra e m’assorbe.

venerdì, febbraio 27

Triste, io no; e poi perché, non so. Ci si muove, ci si abitua a tutto, difronte alle estreme intemperie ci soffiamo il naso; e tutto scorre, e tutto svilisce. Non trovo moventi d'ira e mi guardo allo specchio che rifuggo; io, confuso senza più bordi e definizioni. Un ardore sgretolo, una mano rasente, una tv scintillante come medium per là, o al di là.
Raccogliamo idee, escogitiamo segnali, ci muoviamo ignavi. Avvertiamo tremori; non è tempo di guerre, zaini, e gavette. Oggi è il grigio levante nell'impero delle ragnatele.

mercoledì, febbraio 25

Queste finestre sempre mal riposte in ogni angolo del pianeta, queste mura troppo larghe che celano centimetri sempre defilati altrove. Queste convenzioni che ci sfalsano e ci rendono asincroni come motori con carburatori e propellente. Questo tempo che ci annega tra le paludi delle sensazioni.
Una tastiera, è ciò che alle volte manca; un foglio bianco dove riiniziare a intingere le più recondite fantasie. Tutto ci parla da lontano; stelle il cui brillare è novella già scemata, arrivata troppo tardi, spenta, svilita. Ascoltiamo vocii, e ci giungono pensieri ibridi, confezionati nel luogo ''altrove''. Proferiamo e professiamo l’acquisito nel tempo; ci giungono segnali e stilemi e convenzioni.
Mi sono fermato, oggi, ho cercato d’intuire; non c’era intesa, voglia o ardore. Ho avvertito lievi codici disinteressati, rivolti a figure retoriche. Mi sono sentito un oggetto, uomo in fuga verso lo scuro più losco, per riveder le stelle, senza aspettare messaggi. Per la luce dell’uno e il compendio del tutto.

martedì, febbraio 24

Il mare non c’era, o si celava e non l’ho scorto. Accanto al sibilo, dietro le rughe d’onde, attraverso ombre celate dai nembi, lì ho aspettato savio. Sguardo ampio del cesto avvolto del tepore del tempo che stagna, ciò ch’è sfuggito ratto ritorna. Nugoli ancora solitari, o forse note o colori; presi il corpo tra le mani e a spettando ne carezzai i rilievi nella limacciosa risacca dell’abbandono. Schiudo le mani per svelarne ricordi, trovo cenci appesi alle falangi; un orrido sguardo che colloso s’attacca. Sono fuori, e ancora una volta qualcosa è successo; c’ero, sfoglio, mi tuffo.

domenica, febbraio 22

Ore in cui ci si fermava, carichi tra due pareti di vetro; soste per la meta. Ansie, sospiri, tutto per quei tappeti rossi, per quei cerchi, per quella gente che ondeggiava stretta in quei vocii del tempo quando tutto accade. Vorresti fermarti o fermare, ma l’aria avanza e sospinge. Il poco d’umido già secco in gola per un fiato bloccato dal deglutire, e poi un altro, e poi la mano, un fischio, e vai. Così in fraseggi corti d’ore, e la rabbia e lo smarrimento e i perché.
Un momento in cui tutto impallidiva d’un tratto, che di sponda in sponda smorzava l’eccitazione frenetica. Pochi rumori articolari, qualche passo in ritardo, vita proveniente da fuori, ma lì dove eravamo si allargava lo spot. Arrivava; una calma sovrumana senza residui o ritardi. Un passo lento, scomposto, e la maschera permanente dell’impostura in viso. Un serafico latente, sotto un fischio ad aprire il sipario, una mano prominente sotto un capo chino a sorvegliare la rotula dritta fuor di norma. Fabio insomma; e l’aria era ferma, e l’avversario catalizzato. Niente fatica, arsura o accenno a sforzi e pressioni. Movenze nel tempo della sicurezza, senza balzi, senza il far di saetta. Non c’era ostacolo, non c’era forza o astuzia, tempo e spazio erano stregati, piegati al volere. Allibito il fischietto, allibite platee, visi sparuti e incantati. Così si arrivava alla fine senza eccessi, senza plateali estorsioni, nel lento accompagnamento che solo lui poteva sfibrare.
Quel giorno ero lì, alla stazione dell’ennesimo trionfo, noi sul binario che tornava giù nel profondo Sud di tutto, e lui costantemente all’opposto. Ancora un rilancio, ancora un dippiù, l’ennesima rinuncia dell’indefinita lacrima smarrita. Noi tutti, giovani sbarbati scolari alla fine del viaggio e lui all’ennesimo rilancio.
Non deve aver visto fine, Fabio, lui avvezzo alla normalità e lanciato, a dispetto dell’irremovibilità, in corse ed eccessi. Quel giorno, solo dopo lo ebbi a sapere, ridiscese da quel treno, salutando con una mano invano, padre e sconforto.

Tiepido di viso, all’accenno rossore, avrà arcuato le guance per respirare vapore e locomotore; avrà accennato un sorriso; carico infine, libero per la vita e per i giorni a venire.

sabato, febbraio 14

Bianchi d’acqua
ohibò però
però
affacciati sennò
sennò
densi lo so
lo so
la vita scorre
in infarti di bicchiere
e sorsi di sguardi astrusi
empi
sempre
accecati e intrusi.

giovedì, febbraio 12

''Dimentica una cosa al giorno'', vaga smemore per l’eterno, vivi tra stillicidio e oblio. Non t’apprestare alla fine pregno di pene; libera il tuo fardello. Così solo, così, libero, mio amico fraterno.

sabato, febbraio 7

Balaustre lontane incuranti del tempo, fredde d’acqua tra folate di vento. Ancora lì, quella strada e il vociare sperso, le movenze rarefatte. Sguardi tiepidi di pennellate calde di luce tenue, poi stanze appena scure per ondeggiare parole lente e sorseggiate. Tutti presenti; progenie, fantasmi ed alpaca di ricordi. Un piccolo selciato e un immenso paese, universo del tutto dove oltre il primo scivolo scorreva il mondo. E c’era tutto, e non mancava niente; ci si soffermava tra tappeti neri puntellati nell’aria o scorci a macchie verdi dove deseppellire tesori. Terre incolte oltre porte, dove grandi fusti d’albero lenivano arsure, e fronde immense dove poter scomparire per istanti eterni di cicaleggi.

Svanisci, passa latenza, libera e libra questa mente troppo ingorda per soffermarsi nel soffio d’un momento.

E’ stato bello Pietro,

perché ogni lacrima accompagnava un panino d’origano e umori, perché c’era una madre con cui poter ridere e aspettare qualcuno, forse un padre, dell’eterno arrivare. Nelle pergole o nelle tegole dell’azzurro spiovente, dove nessuno poteva raggiungerci, vite si svolgevano piene di sogni e lacrime imburrate di vita.

Un padre è tornato e una madre svilisce tra ricordi e acredini contingenti, ora abbiamo glissato contro l’ennesimo bivio, ora che il tempo ci ha sperso presi dal vogare, siamo statici e scuri tra accenni e finte.

Nel buio
carpisci il senso,
avverti lesto l’assenza
solo Fato di cui aver paura,
fagocita il silenzio
muovi i passi
ritma sicurezza e latenza.

Notte,
madre di cui sentir l’ardura,
veglia su ogni impostura
tra le pulsioni che ci diede la natura.