domenica, dicembre 31

Avevo rigo, incipit ed intenzione; chi poteva sottrarlo! Tutto muta, però, senza preavvisi, né perché. Il primo pensiero và ad un patto che grottescamente non potrò onorare, e non so quanti potrebbero capire. Affari di lana caprina, i miei; ma così è, e non l’ho scelto d’intenzione. Ricordi quella deflagrazione? Non te ne sarai accorto, c’ero; no, non in quel momento: da tempo e settimane, con quelle fitte nei soffi di vento e nelle battute di sole. Certo, non il migliore dei figli; e come lo potrei, quando l’imperfetto entra nelle vene come l’imperfettibile. Forse il raddoppio d’intenzione, precipitato d’uopo nella vita, può colmare il dimezzarsi del propellente.
Chissà chi potrà leggermi, e così scrivo lo stesso con una posa roteata di collo e testa; testimoni i polpastrelli, freddi e asciutti. “Perché e per chi”; parole che scemano sempre, sorriso o sguardo che sia. Per il resto il pensiero va a momenti labili; al bianco, che ovunque appena sostenne un sospiro unico in sorsi repentini. C’ero? Forse, preda di mani preste e liquidi strani. Ho sussurrato in quella notte, lo ricordo come scalpello su pietra; parole libere, perché non accetto mani e dileggi. Cosa volete che rispondessi a quelle domande, se nessuno, invece che chiedere, toccò le rugosità della mia mano. Allora, che facciano pure, ma non mi guardino negli occhi, “per la mia rabbia enorme mi servono giganti”. Ma non voglio dir solo nero; tra porte e soffi s’adagiò anche garbo e ruolo, aria vibrante d’ottoni e fiato; che quel indice non fu per il suo sorriso, ma spada triste di riga. Qui finisce anno e intento. Agito una mano; e voi?