martedì, giugno 6

Bianco alle pose dello sguardo, dove scalette verticali di pietra imbrigliano con i cirri panni del cielo. I torrioni li a lato, osserva, espugnano pallori effimeri di rena nei vapori d’aria.

Adagia i rigori del collo nell’abbandono posteriore della nuca; quella luce in raggi ovatta rasano le mura delle cinte. Le corone, vedi, frastagliate nel telo fitto del cielo; immagina tra le arsure della pietra pallida visi in caduta verso le righe d’orizzonte. Siamo solo alla pesta balaustra di soglia ; e siamo già in viaggio, tra speranze occulte della falangi e blocchi contrapposti.
In cinta uno stemma ridiscende nei rugori di pareti; quando l’osservi sei già fuori dal tempo. Bianco nel fondo e all’alto delle volte, nel candore della prigione a baricentro dell’estetica. Bianco dal basso e d’assalto nelle ferite della cinta; quando nel ventre percepisci gli esili rumori fuori cinta, e ne avverti i gorgheggi, e ti muovi all’unisono degli spasmi di vita.

A volte si può vivere, amica, senza parole e articolare pensieri. Ma quelle movenze, quelle danze, c’erano come costruzioni epiche a corredo effimero al profondo dello sguardo che issa bastioni pinti ancora di bianco.

Bianco, bianco, bianco…

Allerta mura!

Ecco i tremori e i sussulti dal fondo;
socchiusi gli occhi
s’è proferito parola.

Bianco, noi
e tenzone
non tinte d’avellere.