domenica, marzo 26

Per quei viali, dove s’alternavano i passi sulle polveri bianche, ho avvertito i tuoi occhi neri di braci. In visita alle pene ed ai rimandi del passato, calpestavo ora una, ora l’altra pietra su uno sciame infinito. Code su infiniti segnali, immagini sbiadite su parole e segni non convenzionali sulle mura. Volti alteri a chi li osserva, nell’anelo di storie tramate in tempi lontani. Echi a volte scomposti che rimbalzavano dalle pareti immaginarie delle recinzioni, verso il centro, nel pregno del terriccio confuso di colori ed umori. Cercavo ciò che ero, intuendolo al presente; nel consulto di mappe e pergamene non scritte, avvertendo libero al vibrare. Ma troppo incamera chi per molto ha corso, e, nelle brame d’aria, aspira umori e rivoli; così confuso nel blando sciabordio d’acque vidi l’abbandono dolce. Estraneo al corpo e distante ai pensieri, ho visto il tuo volto scarno nelle guance incavate; priva nel fare e nulla nelle movenze. Nell’attimo ho colto l’inno di rimandi, sorti dall’arcigno diniego della fronte, inarcata a spigolo verso il centro volto. Avanzavo, come sempre, e avrei voluto dissimulare e glissare. Il fragore ed il silenzio della postura, inflitta nell’assoluta flemma del volto, mi hanno indotto a soffermarmi. Qualche gesto circolare, ed il nero-abisso è emerso trasponendo glaciali silenzi verso serenità d’anime e corpo.
Oh piccola viola, fiore colto per l’abbandono dei sensi; mi osservi con lo scrutare d’affetto. Nel momento racconti l’epica storia, poi ti fermi in brevi sibili e ascolti. Allora non sapevi; nelle prigioni del tuo sguardo, ora estorci rimandi: all’osservare.

sabato, marzo 25

Non le orme, che appaiono in numero pari alle spalle del mio ondeggiare. Nemmeno il corpo, che di rado osservo; per lo più riflesso in pozze d’acqua limacciose. Neanche le movenze, i tratti i criteri e le caratteristiche. Nulla di tutto questo sono io. Le patologie e le disfunzioni, altro non sono che approssimativi lineamenti; vaghi per insorgenza e manifestazione. I pensieri, le parole, gli spazzi, le pause, i silenzi e gli affondi, rappresentano istantaneamente l’immagine che mi segue. Ogni parvenza è un tassello d’un quadro sinottico complesso; tessere indispensabili, quanto approssimative, di un organigramma sfuggente al senso. Tutto, tutto ciò, intesse l’ellittica del deperibile; impronte disperse nell’indefinito oblio.
Le emozioni sono immortali, quelle che ergono i sentimenti; scevre ad ogni risvolto temporale. Simboli, legami e corrispondenze, si muovono in uno spazio senza argine, in un tempo nullo per l’inesistente mutazione. Questo ci consente di vivere oltre, lanciando fraseggi al cielo e brevi sguardi dietro i vetri di un tram. Moti in transito dal remoto verso approdi futuri, essenze di cui siamo occasionali depositari.
Per questo, per tutto ciò, mi muovo con la mente; nell’avvertire.

giovedì, marzo 23

Nell’incrocio di parole, non c’è dialogo nella mente. In questi effluvi di fraseggi sorretti come palafitte, smarrisco il senso. Punti; tondi, assonanti e dislocati. Virgole; nel ritmo di sguardi estraniati ad ogni scena. Pause maledette; poi ''a capo'', alla ricerca di un la. Questo fruire di sensazioni m’obbliga al precipizio delle sensazioni. Intesso verbosità e scranni sfinitori d’impeti. Evado sensibilmente in dosi eccelse, estinte nei fragori del folgore. Silenzio, solitudine, scarni alterchi e movenze. Poi tutto torna come nelle maree, con sguardi destinati all’apnea. E i cenni sempre più lontani, in giorni colpiti da freddi flash. Mentre sfrego la fronte, corrugo la pelle per ravvivare il pensiero; sogni avanzati in ulteriori dimensioni di scrigni, labirinto greco dell’esistenza. Tra tratteggi orizzontali e verticali, alzo lo sguardo per scrutare il cielo. Mutano sovente i nembi; nel cielo terso non v’è rivolo e riferimento; lo scuro vede l’intessere di trame e luci in cui perdersi. In questo solstizio mobile di sabbie, elevo l’inno del lato in cui abito.

venerdì, marzo 17

Agiti l’indice in solchi d’aria invisibili, in mulinelli ruotati attorno al gomito. Colori, di cui aspetti la pronuncia; con una storia, uno sguardo, un alterco ed il medesimo finale sonoro, nel balzo della mano verso l’alto. Appari ora in questo schermo inutile, in cui i volti riflessi e nostri non hanno alcuna parte. Il grido, che lento si alza oltre le pareti di questa stanza infinita, ti coglie impreparata. Fagociti orrende emozioni, planate dagli schizzi di luce degli astri dispersi delle ultime occasioni. Qui, e cullàti, immersi in questo gioco di ritrosie; ci osserviamo seduti, senza mutazioni. Ora succede il tutto a cui abbiamo rinunciato, e non ci capiamo negli sguardi e nelle assenze. Questo domani lontano, che c’inchioda su essenze fragili, lascialo con il fragore dell’abbandono. L’eterno è qui, ed ora, nel frangente che nessuno potrà carpire, e che nessuno avrà l’ardore di spiegare. Tendi la mano e ascolta l’affanno dei passi, che fermi ci portano lontano.
Ho visto cedere le pareti farinose d'ogni essenza; intento ad intessere tele fittizie. Non si può vivere nelle memorie altrui, in angolazioni e sguardi che assillano una vita. Flash back di sogni, assunti notte su notte, nella pelle che sconvolta si corruga come sotto l’effetto del Sol Leone. Voci che si distanziavano in una dimensione assurda. Lì, dove ora ti devo recuperare; per ritrovare il me stesso da tempo ho disperso. Sotto pelli di serpenti, ed in sabbie roventi che altercano ogni pensiero. Senza concedere virgole, né respiri, né altre vite possibili. Quanti deserti da attraversare per riemergere dalla condizione dell’immaginario. Buio su notte; passo dopo passo che lede la mente. Chissà dove si può arrivare quando imperterriti si avanza. E’ il momento d’evadere. Issatevi sbarre; con la lima della mente e le lame dei denti nudi, roderò ferro e prigione.

domenica, marzo 12

Osserva le folate di vento, annichilisci la perfidia del vetro gelido. Disperdi lo sguardo, distrai la memoria; vaga ora, con la mia voce giunta dal punto afocale in cui t’attendo. Non v’è registro che possa reggere il nostro sguardo, nessuna base logica; a volte non servono grafismi, ne linee tratteggiate. Sussurro senza proferire parola, e m’ascolti come nella profonda rivelazione; il tuo ancheggiare sinuoso è un organigramma di rimandi. Mi siedo in una base di legno, che scopro portella; muovo le mani come in un film di luce, che sapiente dirigo senza alcuna volontà. La fitta trama di corrispondenze, intesse l’alito verbale che ci inchioda; nell’osservazione d’un tempo privo di mutazione. Così per transiti cerulei di simboli che s’inarcano, dove i fraseggi complessi di accenni di mimica, ci orientano su di un altro piano. Abbiamo perso le tracce, seguite dal senno altrui in mappe di carte fallaci. Ci seguiamo, vedi; ora nel gorgo del mio sogno recondito, nelle risalite, negli alterchi e in ogni affannoso respiro. Mondo d’ogni livrea, lascio impregnare la pelle dall’algida bruma; indefiniti nell’accordo del sentire, ci congiungiamo nella sfera armonica sospesa. Irraggiungibili e irridenti, vuotiamo stizze e complici nuotiamo in queste gelide acque che ci lambiscono senza osare contatto. Nelle virgole, tra gli spazi, nelle sospensioni, perfino nelle assenze, ho pinto lievi tratti di umori infinitesimali; movimenti Casuali, come anima e vita, in cui catturo la tua linfa. All’incrocio del nero dei tuoi occhi, dissolvo il pensiero libero all’avvertire. Vivo.

domenica, marzo 5

Un precipizio; qualcuno cade verticale, senza tonfo e urla. Succede più volte, ed è un fremito sulla pelle. La mente s’incupisce, gli arti si ritraggono. Così si cerca di guardare meglio e di scorgere il viso, di carpirne i tratti: Sono io, che nello scuro di ogni notte, ed in ogni notte, rivesto panni nuovi e assisto alla mia eliminazione. L’ho sempre pensato, io, ad una vita parallela e remota; questa però in un luogo indefinito è inquietante. Mi sveglio, a volte, e sbircio in quella finestra assieme temporale e spaziale che è l’inconscio, e mi vedo sempre in quella porzione drammatica di vita parallela. Per ogni secondo di quell’immagine, quante ore ci saranno in quell’altrove imperscrutabile? Forse giorni, mesi ed anni, in un diverso compimento. Cosa saranno, fantasie realizzate? Il riappropriamento di quello status di felicità ricercato nella vita reale? E, in quello scenario, cosa simboleggia la mia scomparsa fisica; forse la coscienza dell’impossibilità? O forse li vivo costantemente nella violenza, dove scarico tutto ciò che temo qui, sulla terra.
Da una finestra oggi volgo il mio osservare imperfetto; e se avessi due vite, l’una reale, come l’altra? E se di vite ne avessi molteplici? Forse sto vivendo, ora? Oppure sto sognando e poi, in quel poi, mi sveglierò e vivrò veramente, proprio come ora. Sento l’unicità, riconosco, l’altro come questo che sono ora. Per questo mi metterò in viaggio verso il sogno affinché possa combattere quella lotta che m’uccide ogni notte, lasciando madido di sudore ad ogni albeggiare. Guarderò me in viso, e pronuncerò parole lievi e devastanti come la verità; il tempo della tenzone è finito, è il momento di vivere vivendo. Per uscire dall’incantesimo dovrò sognare in quel sogno; dovrò sentire viva l’aria come sulla pelle e abbandonarmi inerme verso tutti i vessilli opposti.
Vedrai che tornerò; vedrai che puntando l’indice, ci sarà corpo e mente, e con essi ogni pensiero, ogni me stesso.
Se mi sentirai farfugliare, se le parole si impasteranno in alterchi di contingenza grama e in effluvi di TV, non dovrai destarmi; lasciami risalire tutti i livelli per tutti i tempi a disposizione. Potrei essere imbrigliato in qualche rete recondita; non temere però, avrò almeno una lima per violare ogni sbarra.