giovedì, giugno 19

Il silenzio tra la folla mette a disagio, ogni giorno sfalda intenti e identità. Linee tenui torna al silenzio della solitudine. Svanisce tra le autostrade dell’oblio. Muore inneggiando alla vita. Pone fine a se stesso per non essere terminato dal non senso.

martedì, giugno 17

Un sogno generato dalle luci del mattino, quando il silenzio viene maculato da lievi gorgheggi. L’aria d’una assenza cristallina e le ombre riverse tra terra e foglie, mi muovo attento a non violare il dipinto che sto per pittare nella mente e nei ricordi. Paralleli nel silenzio due caprioli si muovono, scrutano, e di slancio partono. Una sintonia non umana, un’armonia che solo la più alta natura incosciente può svelare. Un’immagine, come altre, da custodire, una tendenza e una nostalgia verso cui tendere per vivere nel tempo.

domenica, giugno 15

Tre giorni per capire. Bea che si toglie la vita, che ci prova. Le parole di Pietro che mi rimbalzano nella mente, continuamente, al limite tra l’annuncio e il sommesso. Non sono stupito, lei lo ha detto e lo ha anche scritto, e più volte ho ascoltato e letto e ho sempre saputo che l’avrebbe fatto. In un mondo in cui si grida e si simula per la visibilità, i toni di Bea si alzano per vivere e rivendicare il proprio modo di farlo. Non ci può essere contraddittorio, o impedimento, lei è un fiume in piena senza argini e profondità da sondare, inonda e sommerge e nulla, mai, potrà rimanere indifferente al suo passaggio. Lo sapevo, l’avrebbe fatto, e non mi sono mosso. Non voglio alcun alleggerimento alla coscienza, già abbastanza pregna, e riproporrò il silenzio, se necessario, ancora una volta, perché non è sintomo di indifferenza, ma di estrema ammirazione. Nulla può fermare Bea, scordatevelo, ogni suo passo è alto duello, e sarà sempre e solo lei a scagliare il fendente, o lasciarsi ferire, o salvare. Tattiche attendiste, opportunità, sono solo briciole insignificanti al cospetto d’un istinto vitale senza eguali, assoluto fino alle soglie delle morte in una lotta senza esclusione di colpi. Non sfidatela, non sollevate questioni morali, non serve alcuna dietrologia, basta osservare e muoversi d’istinto, d’impeto come lei. In ogni folle che si rispetti c’è un genio, e Bea è l’emblema della razionalità ad ogni livello, quella che lascia capire, a tutti gli altri, che vale la pena di vivere, e di riprovarci.
Per un imperscrutabile disegno del fato, l’appuntamento con la fine non c’è stato. Non ho mai visto un destino talmente piegato e assoggettato alle intemperanze di un uomo. C’è chi decide di farla finita, e chi suo mal grado viene salvato d’un soffio. Bea ha deciso di farla finita e si è fermata ad un soffio, ma l’ha voluto lei, con il passo felino e irriverente di chi determina.
Oggi scorrevo per le campagne, mi sono scoperto bagnato in fronte e nel viso verso quell’aria dell’alba che rende leggero il fiato. Affondavo tra le zolle, ma non mi sono mai fermato, pedalavo scomposto rivolto allo scuro della terra. Pensavo a Bea, ed era lo scoccare del terzo giorno, ho brindato alla vita, ed al suo modo di assaporarla. Ad un tratto ripenso al gioco perverso di poche settimane addietro, quando qualcuno mi aveva lasciato protendere per un suicidio inconsapevole e necessario. Ho detto no, ho deciso di vivere oltre al tempo che mi sarebbe dovuto rimanere, nel mio spazio. Nessuno decida mai – in questo sono con te, Bea – quando è il arrivato il momento di farla finita e di oscurarmi i sensi. Voglio gustare la pastiglia della mia vita a modo mio, accelerando o bloccando la salivazione su di essa a mio piacimento. Un giorno, chissà, la ingoierò d’un colpo.

mercoledì, giugno 11

Vorrei ascoltare un fiume lento, seduto con lo sguardo basso. Vorrei avvertire il sibilo del vento sulle mani e non oppormi. Sussurro parole e collimo il pensiero, scavo nell’archeologia dei ricordi per godere di scarne immagini lenite dalle barriere del tempo. Se e ma si rincorrono, perdo la percezione che lascia posto a un vuoto. Da quei giorni in cui l’ansia divenne sintomo dell’incolmabile, mi muovo bendato. Avverto, ma distraggo la mente che pulsa; troppi i giorni che sfregano ruvidi tra di loro. La bellezza delle cose, vorrei sentirla; a dialogare al suo posto ci sono tracce di nostalgia di luoghi impercorribili, e mi ritrovo a riflettere e mi riscopro statico in un contesto che muta e avanza. Inquieti si nasce, lo si porta dentro, nessuna realtà può deviare il corso. Provo a creare scenari che mi avvolgono e proteggono, come ogni dì la bolla da cui ne sottraggo l’aria.

lunedì, giugno 9

Lidia corre, dall’angolo al centro di ogni strada. Si sofferma incantata attorno ad una fontana solitaria, i giochi e il gorgheggio dell’acqua sono un’attrazione catalizzante. Si sporge, ponendo istintivamente il ventre come baricentro del muretto, è caparbia, e tocca l’acqua con le punte delle dita. In quel vago quadrato ritrova tutto, e non lesina tempo nel manifestarlo. L’angolo si è riempito di due passanti dalla pelle scura, ma lei non distingue, e sconosce il vizio del preconcetto; si avvicina sorniona, accenna un giro su se stessa ed emette un sorriso coinvolgente. Cerca approvazione anche fuori dalle mura domestiche, vuole comunicare; non è ancora preda della barriera di silenzio che appartiene ad un’inevitabile interpretazione di ruolo. Tra panchine e vetrine è ovunque, mobile come solo l’ingenua energia di quei giorni può dare. Noi siamo prodighi di insegnamenti, per farla crescere bene, per consentirle, un giorno, di vivere un equilibrio stordente di gioie e dolori. Mi sorge un dubbio. Forse, inconsapevolmente, stiamo rimpinzandola di codici e schemi fissi. Lidia vive tutto come nuovo, non associa ricordi, non filtra sensazioni. Noi, prepotentemente, la società, associamo alle sue immagini pure norme e convenzioni, e siamo contenti sorridiamo, quando lei mostra di aver capito, e, per darci il contentino, recita la lezione a memoria. E’ un mondo fantastico il suo, e per poterlo vivere ci tratta da ignari, così potrà continuare a vagare con l’immaginazione. Un giorno, mi dico, le cose saranno diverse, anche lei si piegherà alla consuetudine per non venirne schiacciata. Mi basterebbe la consapevolezza, la capacità di sapergliela dare.
A un tratto osserva due figure, si muove a lato di due signori assopiti dall’afa, osserva un pacchetto bianco sulla panchina e ne preleva, sulla sommità, dei cerini colorati e sonori. Lui, il più vicino, accenna uno sguardo e un sorriso imbarazzato, lei, stranamente attenta al nostro richiamo, ritorna, ma poi svicola e riprende il mano il pacchetto e lo restituisce ancora. L’uomo ripone tutto in tasca. E’ la fine del gioco.

domenica, giugno 8

Ho visto presto la luce, oggi. La sveglia ha suonato più volte, ma va bene così, voglio che i momenti del sonno si raccordino con il giorno. Sono le sette, e prendo la mia bici per scorrere dietro casa, dove c’è la campagna L’Agno è un torrente di ciottoli e pietre scomposte, lo è sempre quando l’inverno lascia posto all’afa dell’estate. Mi muovo lungo uno degli argini, tra il crepitio dei sassi sotto il peso delle ruote e qualche uccello che mattutino trova il modo per dissentire e svolazzare via. Il corso d’acqua ha lasciato posto al suo letto sguarnito, pallido senza ombre e parvenze di vegetazione. Un sentiero vi si muove al centro, e mi chiedo il perché. Da entrambi i lati saltellano viottoli, così da lasciare presagire la presenza di una strada con incroci e traverse minori. Non mi distraggo, tra me e il vuoto c’è lo spazio per un solo passo, ma ci sono avvezzo, e mi piace sussurrarmelo. I ponti sono un salto nel nulla, una presunzione di un’azione incompiuta; capisco, così, quanto amiamo la continuità, quanto è poco proficuo sostare, o esserne costretto. Ad un certo punto devo fermarmi, è impossibile proseguire, non c’è posto neanche alla voglia di scoprire. Resto con il dubbio, e con l’idea di una sorgente che forse non esiste e che oggi poteva essere solo d’aria rovente. Lascio la brezza lieve alle spalle e riprendo l’asfalto, mi immergo in case basse e bianche, dove qualche colpo di tosse attutito dai vetri risuona come l’inizio d’una domenica. Sono le otto, una signora da la fronte al sole e il fianco all’ampia finestra; sussurra tra se e l’ombra interna alla stanza, forse è sola, ma non serve saperlo. Ha una gonna blu, lunga, e un’ampia camicia bianca; sembra non scorgermi nemmeno, e le sfreccio davanti. Sto per svanire, e lei volge lo sguardo. Giro l’angolo, e per sempre, nei suoi occhi, appena carpiti, la pellicola dell’immagine d’una vita in attesa.

giovedì, giugno 5

Immerso e disperso nella marea dell’ovvio, corro. Bisogna far presto, ottimizzare, e d’abitudine alzo decine di volte il polso sinistro per scrutare l’ora; non sono cosciente, è un tic, un meccanismo automatico con reazione retroattiva a leva psicologica. Ma sono bravo, me lo dico, e ce la farò, come sempre. Violenterò ogni attimo, sfuggirò sguardi passivi e lenti, e così, isolandomi, otterrò il risultato.
Stamane c’era un caldo torrido, e tutto vale il doppio, anche un solo attimo, in cui il pensiero affonda lontano nei ricordi. Lui si è avvicinato con passo felpato, tenue come chi si gode la scena senza interferire. Accenna un sorriso semplice, non controllato, ingenuo, disperso in un volto bianco che non ha incrociato il sole. I suoi occhi sono scuri, ma non rivedo i miei, sono tondi e aperti in attesa di carpire ogni segnale. Sento il suo sguardo sulla mia spalla sinistra, mi fermo e volto, interrompo il patto di produttività. “Ce la farai?”. Fulminanti quelle parole, quantomeno inaspettate, ho dovuto pensarci. Lui aspettava, leggendo sulle mie labbra, ma senza fretta, condizione che probabilmente sconosceva. “Ci provo”, ho risposto, aprendo un angolo di sincerità. E continuo, “secondo te?”. “Secondo me, no”. “Bene”, ho pensato tra me, e lo sussurro appena al mio nuovo amico. Nessun altra parola, poi, solo segnali di curiosità. Credo che mi abbia visto alieno, me che alieno avevo giudicato lui, per il suo piccolo volto segnato da una natura matrigna dalla nascita. Ritorna il suo sorriso, è uno sprazzo, una mano lo cerca e lo porta via. Non ho chiesto il suo nome, e lui è svanito. Mi manca; nel silenzio ho capito.